« […] Eliade descrive, con un linguaggio fortemente impregnato di terminologia esistenzialista, l’originario sentimento di deiezione, di caduta e angoscia, fondamento ultimo sia della visione del divino come totalizzazione dei contrari, sia del desiderio di reintegrazione nell’Assoluto indifferenziato, che è alla base di ogni atto religioso. L’idea della bi-unità divina risponde infatti, secondo lo studioso romeno, a un bisogno fondamentale dell’uomo, dal momento in cui questi prende coscienza della sua posizione nel Cosmo. Da questa coscienza della sua posizione nel Cosmo, deriva anche il dramma dell’uomo e la sua metafisica. Questa coscienza è, infatti, in un certo senso una “caduta”. L’uomo si sente “separato” da qualcosa e questa separazione è una fonte di ininterrotto dolore, timore e disperazione […].

Si sente separato da qualcosa, “spezzato” — e intuisce la potenza (la divinità) come un intero, come una grande unità impermeabile, sufficiente a se stessa. Tutto ciò che l’uomo pensa coerentemente e tutto ciò che compie con un certo senso […] è diretto verso un unico obiettivo: sopprimere questa “separazione”, rifare l’unità primordiale, reintegrarsi nel tutto […]. Ogni atto religioso […] è un tentativo di rifacimento dell’unità cosmica e di reintegrazione dell’uomo. In ogni atto religioso si realizza, infatti, un paradosso, si attua la “coincidenza dei contrari”. »
Paola Pisi, “I ‘tradizionalisti’ e la formazione del pensiero di Eliade”, in “Confronto con Mircea Eliade. Archetipi mitici e identità storica”.
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