MITI NORDICI. DÈI E TRADIZIONI DELL’EUROPA SETTENTRIONALE Marco Maculotti

«Disse Óðinn: molto ho viaggiato,
molto ho sperimentato
molto ho messo alla prova gli dèi:
che ne sarà di Óðinn al tramonto dei tempi
quando gli dèi verranno a mancare?»


Il volume fornisce una prospettiva esaustiva sui temi principali della tradizione mitica delle popolazioni
norrene. L’obiettivo che Marco Maculotti e gli altri autori si sono posti, infatti, è quello di offrire una
panoramica complessa sulla religione nordica originaria, proponendo dove possibile parallelismi in un’ottica
comparativa con la più vasta tradizione sacra indoeuropea. Sono analizzati il corpus mitico, la cosmogonia e
l’ordinamento cosmico, i reami ultraterreni, il tema della sapienza occulta e il Ragnarök, ovvero il “Crepuscolo
degli dèi”. Di pari passo è approfondito il pantheon nordico, dalle divinità celesti (Óðinn, Þórr, Baldr,
Heimdallr, Loki) alle potenze garanti della fertilità e della fecondità (Freyr, Freyja, Njorðr-Nerthus), senza
dimenticare le eterogenee entità sovrannaturali conosciute dalla tradizione norrena, dagli spiriti custodi alle
Norne intimamente connesse alla tematica del destino, passando per i giganti. In appendice, infine, sono
affrontate questioni particolari del mito e della tradizione nordica, anche in ottica archeologica.
AUTORE
Marco Maculotti (Cremona, 1988). Fondatore e direttore editoriale di «Axis Mundi», rivista di storia delle
religioni, antropologia del sacro,studi tradizionali, folklore, esoterismo e letteratura del fantastico – in edizione
digitale dal 2015, cartacea dal 2021 – e della neonata casa editrice Axis Mundi Edizioni. Il suo primo saggio
lungo pubblicato, Carcosa svelata. Appunti per una lettura esoterica di True Detective (2021), ha riscontrato
un’unanime attenzione di critica e pubblico, seguito da L’Angelo dell’Abisso. Apollo, Avalon, il Mito Polare e
l’Apocalisse (2022), saggio di storia delle religioni incentrato sull’escatologia apollinea. Negli ultimi anni si è
concentrato sull’opera dello scrittore gallese Arthur Machen, rispetto alla quale ha redatto sette contributi editi
da varie case editrici in pubblicazioni collettanee e riviste. Collabora con diverse riviste di studi tradizionali
(«Arthos», «Atrium», «Golem», «Il Corriere Metapolitico») e letterari («Studi Lovecraftiani», «Zothique»,
«Dimensione Cosmica»).

Nell’uso dei principî bisogna assomigliare al pancraziaste, non al gladiatore: questi, infatti, depone e riprende la spada che usa, mentre il primo la sua mano l’ha sempre e non deve far altro che serrarla.

Ὅμοιον εἶναι [δεῖ] ἐν τῇ τῶν δογμάτων χρήσει παγκρατιαστῇ, οὐχὶ μονομάχῳ· ὁ μὲν γὰρ τὸ ξίφος ᾧ χρῆται ἀποτίθεται καὶ ἀναιρεῖται· ὁ δὲ τὴν χεῖρα ἀεὶ ἔχει καὶ οὐδὲν ἄλλο ἢ συστρέψαι αὐτὴν δεῖ.
MARCUS AURELIUS – Τὰ εἰς ἑαυτόν XII

Tutto è opinione, e questa dipende da te. Quando vuoi, quindi, sopprimi l’opinione e, come chi ha doppiato il promontorio, troverai bonaccia, calma degli elementi e un golfo al riparo dei flutti.

Ὅτι πάντα ὑπόληψις καὶ αὕτη ἐπὶ σοί. ἆρον οὖν ὅτε θέλεις τὴν ὑπόληψιν καὶ ὥσπερ κάμψαντι τὴν ἄκραν γαλήνη, σταθερὰ πάντα καὶ κόλπος ἀκύμων.

[22]

  

Dum loquimur, fugerit invida aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros.
Ut melius, quicquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces.
Dum loquimur, fugerit invida
aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

Non chiedere, è peccato saperlo, quale fine a
me, a te gli dei abbiano assegnato, o Leuconoe, e non affidarti ai calcoli caldei.

Com’è meglio sopportare tutto quello che sarà, sia
che Giove ci abbia concesso più anni sia come ultimo questo che ora sfianca il mare
Tirreno contro le opposte scogliere; sii saggia, filtra il vino, e per la brevità del tempo
tronca una speranza (troppo) lunga.


Mentre parliamo, sarà fuggito via il tempo invidioso:
cogli il giorno, il meno possibile fidandoti del domani

Odi I, 11Orazio

  1. Tu: enfatico in posizione iniziale, a dar rilievo al divieto seg. – ne quæsieris: “non chiedere”; forma sincopata;
    normale l’imperativo negativo così espresso – scire nefas: ”Saperlo (è) peccato”; il sostantivo cerca di rendere il
    concetto latino, che ha connotazione religiosa, denotando violazione di una norma divina, mentre ius allude alla sfera umana; posizione analoga a Carm. 3,29,29 sgg. – quem: “quale”, aggettivo interrogativo, attributo di finem, ripetuto in
    anafora – mihi… tibi: può essere accenno discreto al legame sentimentale tra i due, con la donna che, più insicura,
    cerca di sapere in ogni modo cosa le riserba il futuro, preoccupandosi per prima cosa dell’innamorato; si osservi l’asindeto
  2. finem: termine generico, può oscillare tra la “fine” della vita e anche quella del loro amore, se i due pronomi precedenti si riferiscono all’attualità di una liaison sentimentale – Leuconoe: grecismo, è vocativo – nec: coordina il
    seg. temptaris (= temptaveris, forma sincopata) al prec. quaesi(v)eris, ed è irregolare (ci vorrebbe neve/neu) – Babylonios: tradizionale riferimento all’astrologia caldea, diffusa in Roma, come tante altre pratiche e culti di provenienza orientale.
  3. numeros: “i calcoli”, necessari in astrologia per conoscere corso e posizione degli astri e procedere quindi alla stesura degli oroscopi – ut: con valore avverbiale, “quanto” – melius: sottinteso est, con significato analogo in italiano, regge l’infinito pati “sopportare”, con l’idea dell’accettazione cosciente e consapevole: eco certa in Ov. Her. 18,
    51 – quicquid erit: “tutto quel che sarà”, così anche Virgilio (Aen. 5,710).
  4. pluris (=es): “parecchi”, in aggiunta all’attuale, da contrapporre ad ultimam hiemem. ‘Inverni’ per ‘ann’, in una sineddoche che è suggerita dalla stagione, alludendo però, con ogni probabilità, anche all’inverno della vita, la vecchiaia
    – tribuit: (sott. nobis), “(ci) ha assegnato, concesso”; preferibile considerarlo un perfetto, pur pensando taluni ad un
    presente; ha per soggetto Iuppiter.
  5. nunc: “adesso”, precisazione cronologica di Ovidio – debilitat: “sfianca”, ha per oggetto mare Tyrrhenum; nel verbo
    l’idea di sfinimento umanizza il mare, Virgilio (Aen. 10,304 usa fatigat) – oppositis pumicibus: “contro le opposte scogliere”; il sostantivo allude più propriamente a rocce di origine lavica.
  6. sapias: congiuntivo del linguaggio colloquiale, come i seguenti liques e reseces; è più efficace dell’imperativo; verbo
    non casuale (lett. “aver sapore”), è un invito esplicito ad avere “sale in zucca”, con metafora che la traduzione, “sii saggia”, banalizza – vina liques: “filtra il vino”, per evitare residui ed impurità sgradevoli, frequenti nei vini antichi, a
    causa della loro densità – spatio brevi: ablativo causale “per la brevità dello spazio”, ove il vocabolo allude alla
    brevità dell’esistenza. Ma si suggeriscono altre interpretazioni, legando più strettamente l’espressione a quella seguente
    (“recidi entro il breve spazio una lunga speranza”).
    Florilegium
    11
  7. reseces: nel prefisso l’invito a rendere abituale, scontata l’azione (quasi un: “abituati a troncare”) – dum loquimur: “mentre stiamo parlando” – fugerit: futuro anteriore, ad accrescere l’enfasi e a sancire conclusione inevitabile
    ed irreparabile, di cui invida (“invidioso”) è spia eloquente, mentre aetas, in enjambement, è “il tempo”, inteso come durata della vita, come il greco aijwvn.
  8. carpe diem: “cogli il giorno”, come un frutto prezioso, da assaporare e gustare appieno, nell’incertezza totale del futuro; evidente eco epicurea (cfr. EPIC. Ep. ad Men. 126) – quam minimum: “il meno possibile”, forma rafforzata di
    superlativo avverbiale – credula: “fidando, fiduciosa”, ma è riduttivo perché richiama con garbo, condannandola,
    l’inutilità dei tentativi iniziali, dovuti ad una credulità che non ha senso né giustificazione – postero: attributo di un
    sottinteso diei, “il giorno dopo”; nell’incertezza del futuro, anche il solo “domani” può essere rischioso (cfr. Epist. 1,4,
    13-14).

Dum loquimur, fugerit invida aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

 iʀ Wōd[i]nas weraʀ, “Egli (è) l’uomo di Odino”.

L’iscrizione più antica in assoluto che menziona il nome di Odino, dio della guerra, e di conseguenza retrodata le prime attestazioni relative al culto della principale divinità della mitologia norrena all’inizio del V secolo, ben un secolo e mezzo prima rispetto a quanto ritenuto finora.

Il bratteato d’oro con l’iscrizione di Odino. Foto: Arnold Mikkelsen, Museo Nazionale di Danimarca.

Helvegen la via degli Inferi

Eg songane søkte
Eg songane sende
då den djupaste brunni
gav meg dråpar så ramme
av Valfaders pant

Alt veit eg, Odin
kvar du auge løynde

Kven skal synge meg
i daudsvevna slynge meg
når eg helvegen går
og dei spora eg trår
er kalde, så kalde

Årle ell i dagars hell
enn veit ravnen om eg fell

Når du ved helgrindi står
og når du laus deg må rive
skal eg fylgje deg
yver gjallarbrui
med min song

Du blir løyst frå banda som bind deg
Du er løyst frå banda som batt deg

La via degl’Inferi

Chi canterà per me?

Chi mi getterà nel sonno eterno?

Quando percorrerò la via degl’Inferi

E seguirò quei passi

Freddi, tanto freddi

Cercai i canti

Mandai i canti

Allora il più profondo dei pozzi

Mi diede gocce tanto rancide

Dal pegno del Padre dei Caduti

Io so tutto, Odino

Dove tu nascondesti l’occhio

Chi canterà per me?

Chi mi getterà nel sonno eterno?

Quando percorrerò la via degl’Inferi

E seguirò quei passi

Freddi, tanto freddi

Presto o sul finire dei giorni

Soltanto il corvo sa se cadrò

Quando ti trovarai alle porte dell’inferno

E dovrai strapparti alla vita

Io ti seguirò

Sul Gjallarbrú col mio canto

Sarai sciolto dalle catene che ti incatenano

Sei sciolto dalle catene che ti incatenavano

Muore il bestiame

Muoiono gli amici

E così morirai anche tu

Ma non morirà mai

La fama

Di chi se n’è costruita una buona

Muore il bestiame

Muoiono gli amici

E così morirai anche tu

Ma io conosco qualcosa

Che non morirà mai:

Il giudizio che i morti si lasciano alle spalle

  • Uno degli epiteti di Odino, mentre il pegno di cui parla è l’occhio che Odino si cavò e lasciò nella fonte (o pozzo) dell’onniscenza di Mímir (vd. versi successivi), affinché quest’ultimo gli permettesse di potervisi abbeverare. Dunque le gocce di cui sopra sono le lacrime di Odino.
  • Traduzione in norvegese di due versi tratti dalla strofa 28 della Vǫluspá (“La profezia della veggente”), primo e più famoso poema tratto dall’Edda poetica.
  • Ponte che attraversa il fiume Gjöll, che separa il mondo dei vivi dal regno di Hel: gli inferi della mitologia norrena.
  • Mentre la prima parte della canzone è in norvegese nynorsk, la parte in corsivo è in norreno: si tratta delle strofe 76 e 77 dell’Hávamál (“Il discorso di Hár”), seconda composizione dell’Edda Poetica.

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