Come il fuoco sprigiona a migliaia le infuocate scintille….

Mo Kalache Sol Vir

Mundaka Upanishad 

La Mundaka Up., che appartiene all’Atharvaveda, è una delle Upanisad più celebrate e commentate nell’India.
Il titolo sembra significare che essa si rivolge a un ordine di asceti che seguivano il voto della «rasatura» del capo; ma potrebbe pure alludere all’effetto dell’insegnamento in essa impartito, che è tale da «radere», ossia distruggere, l’errore.
La conoscenza dell’identità tra Atman e Brahman, che si raggiunge quando si sia purificato l’animo per mezzo dell’ascesi e della condotta moralmente pura, conferisce la liberazione dal ciclo delle esistenze, l’assorbimento e, a quanto sembra, la dissoluzione nell’Assoluto; il rito e il sacrificio, in quanto ancorati alle cose terrene, permettono soltanto una felicità transitoria. L’Assoluto è l’origine di tutto. si muove nell’intimo di ognuno, ma tutto trascende ed è il traguardo da raggiungere [chiamato BrahmanAtmanPurusa («spirito universale») e Tat; ma non c’è equivalenza completa fra i termini, se è vero che il Purusa in 3, 1, 3 è detto matrice del Brahman. Frequenti sono i contatti e le derivazioni da altre Upanisad, cosicché la Mund. Up. deve essere considerata tra le più recenti delle Upanisad vediche.


PRIMO KHANDA
1. Brahma fu il primo degli dei. Creatore dell’universo, protettore del mondo, egli espose la scienza del Brahman, fondamento d’ogni altra scienza, al figlio maggiore Atharvan.
2. La scienza del Brahman, che Brahma aveva rivelato ad Atharvan, Atharvan a sua volta l’espose ad Angir, questi a Bharadvaja Satyavaha, Bharadvaja ad Angiras, sia la superiore, sia l’inferiore.
3. Saunaka, possessore di grandi ricchezze, avvicinatosi secondo il dovuto ad Angiras, gli chiese:
«O signore, qual è la cosa che, conosciuta, permette di conoscere tutto?».
4. A lui quegli rispose: I conoscitori del Brahman dicono che bisogna conoscere due scienze, la superiore e l’inferiore.
5. «Di esse l’inferiore è costituita dal Rgveda, dal Yajurveda, dal Samaveda, dall’Atharvaveda, dalla fonetica, dalla ritualistica, dalla grammatica, dall’etimologia, dalla metrica, dall’astronomia.
La [scienza] superiore è quella per mezzo della quale si raggiunge l’Indistruttibile».
6. «Invisibile, inafferrabile, senza famiglia né casta, senza occhi né orecchie, senza mani né piedi, eterno, onnipresente, onnipervadente, sottilissimo, non soggetto a deterioramento, Esso è ciò che i saggi considerano matrice di tutto il creato».
7. «Come il ragno emette [il filo] e lo riassorbe, come sulla terra crescono le erbe, come da un uomo vivo nascono i capelli e i peli, così dall’Indistruttibile si genera il tutto».
8. «Il Brahman si forma per mezzo dell’ascesi, da esso nasce l’alimento, dall’alimento il respiro vitale, la mente, la verità, i mondi e ciò ch’è immortale nelle azioni».
9. «Da colui che tutto conosce, che sa tutto, per il quale l’ascesi è costituita dalla conoscenza, da costui nasce questo Brahman, ossia l’individualità e l’alimento».

SECONDO KHANDA
Questa è la verità:
1. Le azioni sacrificali, che i poeti videro [e descrissero] nelle raccolte degli inni sacri, sono state ripetutamente realizzate dinanzi ai tre [fuochi del sacrificio]. Effettuatele sempre, voi che bramate il vero: questa è la via che vi condurrà al mondo [che si conquista] con le opere buone.
2. Quando la fiamma balena, essendo stato acceso il fuoco sacrificale, allora in mezzo alle due porzioni di burro liquefatto bisogna gettare le offerte [del sacrificio].
3. Se uno compie l’agnihotra senza accompagnarlo con i riti del novilunio e del plenilunio, [del giorno iniziale] delle tre stagioni, dell’offerta dei primi raccolti, senza [tributare le dovute onoranze agli] ospiti, oppure se non lo compie, o non lo dedica a tutti gli dei, o non lo compie secondo le regole, per costui [le manchevolezze riscontrate] distruggono tutti i mondi fino al settimo
4. La Nera, la Terribile, la Rapida come il pensiero, la Tutta rossa, la Tutta fumosa, la Scintillante e la Divina tutta splendente, queste sono le sette lingue balenanti [del fuoco sacro].
5. Se uno compie il sacrificio quando queste scintillano, porgendo le offerte sacrificali al tempo dovuto, esse, [come] raggi di sole, lo conducono dove risiede l’unico signore degli dei.
6. Dicendogli «Vieni! vieni!», le risplendenti offerte scortano il sacrificatore su per i raggi del sole, rivolgendogli parole gentili e onorandolo: «Questo è il mondo del Brahman, puro e perfetto, a te [riservato]».
7. [Simili a] instabili barche sono le diciotto forme di sacrificio nelle quali s’esprime l’opera inferiore (l’atto rituale). Gli sciocchi che considerano questa come il sommo bene, ricadono nella vecchiezza e nella morte.
8. Trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli sciocchi s’aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco.
9. Variamente immersi nell’ignoranza, puerilmente essi pensano: «Abbiamo raggiunto il nostro scopo!». Legati all’azione, oppressi da ciò che non comprendono a causa della passione, una volta che hanno esaurito [il frutto dell’azione e] il mondo [che quella ha determinato], precipitano [di nuovo nel samsara].
10. Convinti che il sacrificio e le azioni meritorie siano il meglio, quegli sciocchi non conoscono null’altro di superiore. Dopo aver goduto sulla cima dell’universo del loro buon agire, cadono in questo mondo o [anche] in uno più basso.
11. Coloro invece che nella foresta sono dediti all’ascesi e alla fede, sereni, saggi, vivendo d’elemosina, puri, attraverso la porta del sole giungono là dove sta lo Spirito Universale, l’immortale, l’immutabile Atman.
12. Un brahmano, considerando che [l’acquisizione dei] mondi [ultraterreni] è fondata sull’azione, può essere preso dalla disperazione al pensiero che ciò che è increato non può discendere da ciò che è creato. Per aver la conoscenza, allora, deve rivolgersi, con il combustibile in mano [come un alunno], a un maestro, esperto delle dottrine sacre, assorto nel Brahman.
13. S’avvicina a lui con rispetto, con lo spirito placato, del tutto sereno, e il saggio a lui rivela secondo verità questa scienza del Brahman, per la quale giunge a comprendere l’indistruttibile Spirito Universale, la verità.

SECONDO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
Ecco la verità:
1. Come da un fuoco ben acceso a migliaia si dipartono scintille che hanno la stessa natura, così dall’Indistruttibile, o caro, diverse creature nascono e in esso poi ritornano.
2. Divino, incorporeo è lo Spirito Universale; esso comprende ciò che è esteriore e ciò che è interiore, è innato. Senza respiro, senza intelletto, puro, è superiore all’Indistruttibile, che a sua volta tutto trascende.
3. Da Lui nascono il respiro vitale, l’intelletto e tutti gli organi dei sensi, l’etere, il vento, la luce, le acque, la terra, sostegno di tutto.
4. Il fuoco è la [sua] testa, la luna e il sole sono i [suoi] occhi, i punti cardinali sono le [sue] orecchie, i Veda rivelati son la [sua] voce, il vento il [suo] respiro, il mondo è il [suo] cuore, la terra [procede] dai [suoi] piedi, egli è l’anima interiore di tutte le cose create.
5. Da Lui [proviene] il fuoco, per il quale il sole costituisce il combustibile, dalla luna [vien] la pioggia, [dalla pioggia nascono] le piante sulla terra, quindi il maschio versa il seme nella femmina: dallo Spirito Universale sono state generate molte creature
6. Da Lui [derivano] gli inni, la melodia, le formule sacrificali, l’iniziazione, i sacrifici, tutti i riti e le offerte sacrificali, l’anno, il sacrificatore e i mondi dove brilla la luna e dove brilla il sole.
7. Da Lui sono stati in varia guisa generati gli dei, gli esseri celesti, gli uomini, le bestie, gli uccelli, il prana e l’apana, il riso e l’orzo, l’ascesi, la fede, la verità, la castità e le regole.
8. Da Lui derivano i sette prana, le sette fiamme, il combustibile, le sette oblazioni, i sette mondi dove si muovono i prana, che stanno nell’intimo [d’ognuno] disposti a sette a sette
9. Da Lui [procedono] gli oceani e tutte le montagne, originati da Lui scorrono i fiumi d’ogni tipo, da Lui [provengono] tutte le piante e la linfa vitale, cosicché può dirsi che Egli, come anima interiore, dimora in ogni creatura.
10. Lo Spirito Universale è l’universo: azione, ascesi, Brahman, immortalità suprema. Colui che lo riconosce riposto nel profondo [del cuore], costui quaggiù scioglie i nodi dell’ignoranza, o caro.

SECONDO KHANDA
1. Il rifugio supremo (ossia il Brahman) s’è manifestato, esso che porta il nome di  «moventesi nel profondo». Ciò che si muove e respira e palpita negli occhi in Esso è fissato. Sappiate che Esso è migliore dell’Essere e del non Essere, che è superiore alla conoscenza, che è il meglio per le creature.
2. Esso è fulgente, più sottile del sottile, in Esso risiedono i mondi e i loro abitanti, Esso è l’indistruttibile Brahman, è il respiro, la parola, l’intelletto, Esso è la verità, l’immortale. Sappi, o caro, che Esso è il [bersaglio] da colpire.
3. Avendo preso per arco la grande arma costituita dalle Upanisad, e avendola tirata con la mente che è giunta a [comprendere] la natura del Tat, s’incocchi la freccia acuita dalla meditazione. Sappi che questo eterno è il [bersaglio] da colpire, o caro.
4. Si dice che la sillaba Om è l’arco l’Atman è la freccia, il Brahman è il traguardo. Senza distrazioni, questo bisogna colpire. Come la freccia [s’immedesima nel bersaglio, in egual modo] l’uomo otterrà l’identità con il Tat.
5. In Esso sono tessuti il cielo, la terra e l’atmosfera, la mente insieme con tutti gli organi di senso: riconoscetelo come l’Atman unico-esistente. Lasciate ogni altro discorso. Questo è il ponte dell’immortalità.
6. In Esso, come i raggi nel mozzo della ruota, si congiungono le arterie; Esso si muove [celato] all’interno, pur manifestandosi in varie guise. Meditate sull’Atman, considerandolo come la sillaba Om. La fortuna vi assista nel passaggio al di là delle tenebre.
7. Colui che tutto conosce, tutto sa, del quale sulla terra si contempla la grandezza, questo Atman è fisso nel firmamento, nella celeste cittadella del Brahman
8. Esso è fatto di pensiero, regge lo spirito vitale e il corpo, risiede nell’alimento. Controllando il cuore i saggi lo contemplano per mezzo della conoscenza, Esso che risplende immortale, costituito di felicità.
9. Si spezza il nodo del cuore, si sciolgono tutti i dubbi, si dissolvono tutte le azioni quando si riconosce il [Brahman nelle sue due forme] superiore e inferiore.
10. Dietro un aureo sublime velo risiede il Brahman puro, indiviso, brillante, luce delle luci: Esso è quello che conobbero i conoscitori dell’Atman.”
11. Là non riluce il sole, non la luna e le stelle, non brillano i lampi, per non parlar del fuoco; tutto l’universo risplende se Esso risplende, tutto questo universo brilla della sua luce
12. Questo è il Brahman immortale. Il Brahman si distende a oriente e a occidente, a Sud e a Nord, in alto e in basso. Il Brahman è il Tutto, è l’ottimo.

TERZO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
1. Due alati, stretti amici, sono attaccati allo stesso albero. L’un d’essi mangia i dolci fichi, l’altro senza mangiare guarda attentamente.
2. Su un albero eguale lo spirito individuale, imprigionato, soffre, accecato dalla sua impotenza; quando vede l’altro, il signore sovrano nella sua soddisfazione e nella sua maestà, è libero dal dolore.
3. Quando il meditante distingue l’aureo creatore, il sovrano, lo Spirito Universale, che è matrice del Brahman, allora, raggiunta la conoscenza, dopo essersi liberato del bene e del male, senza macchia, raggiunge l’identità suprema.
4. Esso è il soffio vitale che risplende in tutte le creature. Colui che comprende, colui che conosce, non parla senza criterio. Si compiace dell’Atman, gode dell’Atman, e, pur compiendo le azioni sacrificali, diventa il migliore dei conoscitori del Brahman.
5. Con la verità, con l’ascesi, con la retta conoscenza, con la castità continua è possibile [cercare di] ottenere questo Atman. Costituito di luce, puro, Esso abita dentro il corpo. Gli asceti lo contemplano quando hanno cancellato le loro colpe.
6. La verità vince, non la menzogna; attraverso la verità passa la via che porta al mondo degli dei. Lungo di essa i veggenti che hanno realizzato i loro desideri giungono là dove si trova il Tat, la suprema dimora della verità.
7. Il Tat risplende, grande, divino, inconcepibile nella sua forma, più sottile del sottile; lontanissimo, distante, Esso è pur qui vicino sulla terra, nascosto nell’intimo [del cuore] per coloro che [rettamente] vedono.
8. Non è possibile raggiungerlo con l’occhio, né con le parole, né con gli altri organi dei sensi, o con l’ascesi o con l’azione sacrificale. Chi ha l’animo puro per la luce della conoscenza lo vede nella sua interezza quando medita.
9. Questo Atman sottile può essere conosciuto [soltanto] con il pensiero, nel quale il respiro è penetrato con le sue cinque forme: tutto il pensiero delle creature è [infatti] intessuto con i soffi vitali Quando [il pensiero] è purificato, risplende allora l’Atman.
10. Qualsiasi mondo con la mente si formi, qualsiasi desiderio concepisca, chi ha l’animo puro tale mondo conquista e tale desiderio. Chi desidera la felicità onori dunque il conoscitore dell’Atman

SECONDO KHANDA
1. Costui (il conoscitore dell’Atman) conosce la sede suprema del Brahman: fondato su di esso l’intero universo rifulge, puro. I saggi, che, privi di desideri, venerano lo Spirito Universale, passano oltre [ogni] impurità.
2. Colui che nella mente concepisce desideri, costui rinasce ora qui ora là secondo i desideri. Per chi ha placato i desideri e si è preparato interiormente, già qui in terra tutti i desideri si dissolvono.
3. Non è possibile raggiungere l’Atman con l’insegnamento, e neppure con l’intelletto né con molta dottrina. Lo può ottenere soltanto colui che Esso trasceglie; a costui l’Atman medesimo rivela la propria essenza
4. L’Atman non può essere raggiunto da chi non ha forza, e neppure attraverso la distrazione o un’ascesi irregolare. Soltanto l’animo di colui che, saggio, si sforza con i mezzi [adatti], entra nella dimora del Brahman.
5. Avendolo ottenuto, i veggenti che sono soddisfatti della conoscenza, che si sono preparati interiormente, privi di passioni, placati, avendo ottenuto in ogni dove colui che dappertutto penetra, saggi, con lo spirito raccolto, penetrano nel Tutto.
6. Coloro che hanno come scopo ben determinato la conoscenza del Vedanta, gli asceti che si son purificati praticando la rinuncia, tutti costoro, al momento supremo, del tutto immortali, son liberi nei mondi del Brahman.
7. Le quindici parti [della natura umana] ritornano ai loro fondamenti tutti i sensi ritornano agli elementi cosmici corrispondenti. Le azioni e il sé costituito di conoscenza, tutti s’unificano nel principio supremo indistruttibile.
8. Come i fiumi che scorrono si dissolvono nell’oceano perdendo la loro individualità, così il saggio, liberato dall’individualità, s’immerge nel divino Spirito Universale, più alto della cosa più alta.
9. Colui che conosce questo supremo Brahman diventa il Brahman, e nella sua stirpe non nasce chi non conosca il Brahman. Supera il dolore, supera il male, libero dai legami interiori diventa immortale.
10. Ciò è stato dichiarato nel verso sacro: “Coloro che compiono i riti sacri, esperti nei Veda, devoti al Brahman, che, pieni di fede, se stessi sacrificano all’Unico veggente, a costoro, dopo che abbiano secondo il rito praticato il voto [della rasatura] del capo, deve essere insegnata questa scienza del Brahman”.
11. Questa è la verità che un dì proclamò il veggente Angiras. Chi non ha compiuto il sacro voto non può apprenderla. Onore ai sommi veggenti, onore ai sommi veggenti!


 Esistono due scienze, l’inferiore, costituita dai testi sacri e dalla pratica dei riti, e la superiore. Soltanto quest’ultima permette di raggiungere il Brahman, dal quale si genera e nel quale si ricongiunge tutto il creato, in un circolo senza fine: infatti – dice l’Upanisad anticipando le conclusioni – il Brahman si genera dall’ascesi, che è uguale alla conoscenza, e l’ascesi a sua volta si genera dal Brahman individuato, ossia dall’Assoluto che è presente nell’interiorità umana. 
 È questa una delle più antiche enumerazioni dei Vedanga, “”membri del Veda””, e sottolinea la derivazione delle varie scienze dalla considerazione del sacrificio.” 
 Il rito e il culto, rettamente eseguiti, permettono di raggiungere un’esistenza elevata e felice, ma pur sempre transitoria: l’increato non può raggiungersi partendo da ciò che è stato creato. Soltanto il ricorso a un maestro spirituale potrà consentire di superare il mondo con tutte le sue contingenze di bene e di male. Assai brusco è il passaggio dall’esaltazione del sacrificio alla svalutazione del medesimo (str. 7); ma le Upanisad sono opera di poeti e di mistici, i quali procedono per illuminazioni improvvise, per accenni, per antifrasi, non seguono un filo rigoroso di ragionamento. 
 I tre fuochi, garhapatya, ahavaniya e daksina, sono posti rispettivamente a occidente, a oriente e a meridione del luogo del sacrificio, e simboleggiano il sole, la terra, la luna. 
 Secondo una diffusa tradizione i mondi terreni e celesti sono sette. 
 18 è un numero tradizionalmente sacro; qui indica tutte le forme del sacrificio. 
 In questa strofe sono enumerate brevemente le tappe della dottrina dei cinque fuochi.
Vedi Ch.Up., 5, 3-10. 
 Secondo Sankara i sette prana sono gli organi dei sensi nella testa (occhi, orecchie, narici, bocca); le sette fiamme sono prodotte dall’attività di quegli organi; il combustibile è costituito dal complesso degli oggetti dei sensi; le oblazioni sono le percezioni di questi oggetti; i sette mondi infine si formano come risultato della percezione. 
Il battito delle palpebre è caratteristico dei mortali; gli dei hanno l’occhio fisso. 
 La meditazione sulla sillaba Om, simbolo dell’Assoluto, è il fulcro dell’insegnamento delle Upanisad. 
 
 I due uccelli rappresentano uno l’individuo ancor rivolto ai godimenti, l’altro l’asceta che è giunto alla contemplazione del Brahman. Cfr. Svet. Up., 4, 6-7. 
 La contraddizione con la str. 5 è evidente; ma, se l’ascesi è indispensabile premessa, il riconoscimento dell’identità Atman-Brahman supera ogni piano umano, rivelandosi come un’illuminazione mistica che nulla ha a che fare con la morale o la ragione. 
Le forze vitali si riassumono nel pensiero, che, pur da quelle sostenuto, ne è in certo modo l’espressione più alta. Quindi purificare il pensiero significa purificare completamente l’individuo. 
Come ad es. in Ch.Up., 8, 2, lo, anche qui alla raggiunta conoscenza viene attribuito un valore pratico: residuo dell’antica concezione che attribuisce alla verità e alla conoscenza il carattere magico di forza operante di per sé, o, forse meglio, indizio d’un attaccamento alla vita che l’idealismo prevalente non riesce del tutto ad annullare. 
 Non può prescindersi dalla condotta pura, come più volte è stato ripetuto; ma al Brahman giungono soltanto gli eletti dal Brahman stesso. In questa affermazione è da vedersi il primo spunto della posteriore dottrina della grazia divina salvatrice del devoto fedele. Cfr. Kath. Up., 1, 2, 23. 

Eσυχία Esukia Quiete della mente Pitagorica

Angelo Tonelli. Pitagora 

Il maestro segreto della sapienza greca 

Come il suo maestro Giorgio Colli, Tonelli è un sostenitore della superiorità dei sapienti greci rispetto ai filosofi contemporanei, che devono essere compresi alla luce dell’attualità, ma che sicuramente sono stati definitivi. Esiste una maggiore vicinanza di contenuti e di modi espressivi tra Eraclito e il taoismo o tra Parmenide e le Upaniṣad, che non tra Eraclito o Parmenide e Aristotele.

È importante ricostruire la comune radice eurasiatica della nostra cultura così possiamo capire meglio la figura del sapiente, più simile allo Yogi o al maestro taoista o buddista, che non alla figura del filosofo, quale si configura da Aristotele in poi, dopo la mediazione di Platone che è intermedio tra Sophia e Filosofia. 

Esistono testimonianze di rapporti tra oriente e occidente in epoca arcaica, prima delle conquiste di Alessandro Magno e la sapienza greca di cui Pitagora è maestro segreto, perché non ha lasciato nulla di scritto, ha un’origine specifica, ma è anche il frutto di un’interconnessione originaria tra oriente e occidente. 
I sapienti pitagorici avevano in comune con quelli orientali alcune pratiche meditative, il silenzio, come disciplina meditativa, l’anamnesi, la pratica della memoria e la musica come strumento meditativo. 
Lo stile di vita della Scuola pitagorica consentiva di formare, attraverso una vita comune, quelli che Giorgio Colli chiama filosofi sovrumani, conducendo l’essere umano oltre sé, non nella maniera risibile dell’attuale transumanesimo, in chiave tecnicistica e materialistica, ma attraverso la connessione dell’individuo con il cosmo, con il sé profondo, che in noi riesce a vedere come vicine le cose lontane: ciò che per Parmenide unifica tutto e che per Eraclito unifica gli opposti, liberandoci dalla schiavitù delle nostre passioni e pulsioni.    

Coltivando lo spirito di solidarietà e comunanza, la Filìa dovevano liberarsi dalla volontà di potenza e di sopraffazione per la propria realizzazione personale. Dall’insegnamento di Pitagora ci viene un messaggio che favorisce la convivenza civile tra gli individui e i popoli. 

Angelo Tonelli (Lerici, 1954), poeta, autore e regista teatrale, tra i massimi grecisti viventi, ha studiato Filosofia antica a Pisa, con Giorgio Colli. Ha pubblicato tra l’altro diverse opere di poesia e saggi. Per i “Classici” Feltrinelli ha tradotto e curato Dell’Origine di Eraclito (1993), La terra desolata. Quattro quartetti di T.S. Eliot (1995), il primo volume di Le parole dei Sapienti dedicato a Senofane, Parmenide, Zenone, Melisso (2010), Eleusis e Orfismo (2015), Negli abissi luminosi. Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica (2021) e Dell’origine di Parmenide (2023).

Vis medicatrix Naturae

OPES ADQUIRIT EUNDO MULTA RENASCENTUR

O Asclepio, guaritore di tutte le cose, o maestro di Paiana
dove evochi le più malate afflizioni degli uomini,
che causano grandi dolori,
tu che con i tuoi doni conforti il ​​potente,
vieni tu a portarci la salute
e porre fine alle gravi malattie e alla morte perniciosa,
tu, oh nuovo, che contribuisci ad aumentare e a rimuovere i mali
la fortunata che sei il forte germoglio,
il prezioso di Febo Apollo,
il nemico delle malattie, dove hai una moglie irreprensibile Igeia
vieni, beato, nostro salvatore, donaci un buon fine di vita.

Titani Invisibili  tecnica e persuasione magica, logos e  pathos….

Nonostante le onnipresenti prove di flagrante titanismo che abbiamo intorno, loro, i Titani, sono invisibili, come il nero cielo notturno di Urano, il loro terribile padre, nascosti dalla madre Gaia nella profondità del suo ventre. A volte sono immaginati in forma di fantasmi. Operano invisibilmente nell’oscurità e in impulsi e fantasie che affiorano dal profondo. […] I Titani, poiché sono invisibili, ovvero non hanno immagini, appunto per questo non hanno limiti. Privi di immagine, diventano pura espansione.
J. Hillman, Figure del mito

Perché toccò a Zeus salvare il mondo dai Titani? Non per la sua forza, secondo me, per i suoi fulmini, per la sua intelligenza scaltra né per la sua funzione di legge e ordine, bensì piuttosto per la sua capiente immaginazione. […] La gamma della sua fantasia era inclusiva, ampia, generosa e differenziata. Zeus era davvero un dio del cielo; copriva tutto con l’ampiezza della sua facoltà immaginativa, era pari, nella sua grandiosità articolata, alla enormità titanica. La smisuratezza titanica può essere abbracciata e contenuta soltanto da una capacità altrettanto vasta di creare immagini. […] La coscienza improntata a Zeus è attiva; terragna, aperta, presente. Zeus genera attivismo e militanza, il che ci insegna qualcosa su come far fronte al titanismo: non con il ritiro, la meditazione, la psicoanalisi, né con la speranza nel Regno a venire. (J. Hillman, Figure del mito [2007] 2014, 134)

FONTE confer ENNEAGRAMMA

Devotio

 In hac trepidatione Decius consul M. Valerium magna uoce inclamat. “Deorum” inquit “ope, M. Valeri, opus est; agedum, pontifex publicus populi Romani, praei uerba quibus me pro legionibus devoveam.”

In questo momento di smarrimento, il console Decio chiamò Marco Valerio a gran voce e gli gridò

Abbiamo bisogno dell’aiuto degli dèi, Marco Valerio Avanti, pubblico pontefice del popolo romano, dettami le parole di rito con le quali devo offrire la mia vita in sacrificio per salvare le legioni

Pontifex eum togam praetextam sumere iussit et velato capite, manu subter togam ad mentum exserta, super telum subiectum pedibus stantem sic dicere: “Iane, Iuppiter, Mars pater, Quirine, Bellona, Lares, Divi Novensiles, Di Indigetes, divi, quorum est potestas nostrorum hostiumque, dique Manes, vos precor veneror, veniam peto feroque, uti populo Romano Quiritium vim victoriam prosperetis hostesque populi Romani Quiritium terrore formidine morteque adficiatis. Sicut verbis nuncupavi, ita pro re publica <populi Romani> Quiritium, exercitu, legionibus, auxiliis populi Romani Quiritium, legiones auxiliaque hostium mecum deis Manibus Tellurique deuoueo”.


Il pontefice gli ordinò di indossare la toga pretesta, di coprirsi il capo e, toccandosi il mento con una mano fatta uscire da sotto la toga, di pronunciare le seguenti parole, ritto, con i piedi su un giavellotto: Giano, Giove, padre Marte, Qvirino, Bellona, Lari, dèi Novensili, dèi Indigeti, dèi nelle cui mani ci troviamo noi e i nostri nemici, dèi Mani, io vi invoco, vi imploro e vi chiedo umilmente la grazia: concedete benigni ai Romani la vittoria e la forza necessaria e gettate paura, terrore e morte tra i nemici del popolo romano e dei Qviriti

Tito Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 39; 31 – 35

«”Quid ultra moror familiare fatum? datum hoc nostro generi est ut luendis periculis publicis piacula simus. Iam ego mecum hostium legiones mactandas Telluri ac Dis Manibus dabo.” haec locutus M. Livium pontificem, quem descendens in aciem digredi vetuerat ab se, praeire iussit verba quibus se legionesque hostium pro exercitu populi Romani Quiritium devoveret. Devotus inde eadem precatione eodemque habitu quo pater P. Decius ad Veserim bello Latino se iusserat devoveri, cum secundum sollemnes precationes adiecisset prae se agere sese formidinem ac fugam caedemque ac cruorem, caelestium inferorum iras, contacturum funebribus diris signa tela arma hostium, locumque eundem suae pestis ac Gallorum ac Samnitium fore,—haec exsecratus in se hostesque, qua confertissimam cernebat Gallorum aciem, concitat equum inferensque se ipse infestis telis est interfectus.»

«Perché ritardo il destino della mia famiglia? È questa la sorte data alla nostra stirpe, di esser vittime espiatorie nei pericoli dello Stato. Ora offrirò con me le legioni nemiche in sacrificio alla Terra e agli dei Mani!”. Pronunciate queste parole, ordinò al pontefice Marco Livio, al quale aveva ingiunto di non allontanarsi da lui mentre scendevano in campo, di recitargli la formula con cui offrire sé stesso e le legioni nemiche per l’esercito romano dei Quiriti. Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Vesseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini, e avendo aggiunto alla formula di rito la propria intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli dei celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici, e aggiungendo ancora che lo stesso luogo avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti, lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche.»

ZALMOXIS, APOLLO SORANUS & LE MANNERBÜNDE

di Marco MaculottiEstratto dal cap. I §8 de l’angelo dell’abisso.
apollo, avalon, il mito polare e l’apocalisse,
Axis Mundi edizioni 2022

Esperto di morte apparente era infatti anche un personaggio semi-mitico che viene talvolta ricordato nell’alveo degli iatromanti pur non essendo greco: trattasi di Zalmoxis [1], definito da Mircea Eliade «un daimon o un theos che ‘rivela’ una dottrina escatologica e ‘fonda’ un culto iniziatico da cui dipende lo stato ontologico dell’esistenza ultraterrena» [2]. Venerato dai Geti, tribù semi-nomade della Tracia il cui territorio faceva da ponte tra l’ecumene ellenico e le steppe eurasiatiche, alcuni autori greci lo consideravano un discepolo o addirittura uno schiavo di Pitagora, narrando che questi lo avrebbe iniziato alle «scienze dei cieli» a Samo. Va da sé che leggende di questo genere sono il risultato di processi tardo-antichi di evemerizzazione e banalizzazione di processi storici e metastorici assai più complessi; nondimeno, per chi sappia leggere “tra le righe”, esse sono in grado di fornire più di un’informazione implicita, ad esempio, in questo specifico caso, una connessione tangibile per il tramite della Scuola Pitagorica con l’alveo sacrale apollineo. Le confraternite estatiche dacio-gete, d’altronde, sono state sovente paragonate a quelle iatromantiche e orfiche, nonché a quelle druidiche [3].

Di Zalmoxis, i Geti tramandano che trasmise ai suoi discepoli la dottrina dell’immortalità dell’anima, insegnando loro che dopo la morte sarebbero passati in un luogo dove avrebbero goduto di tutte le benedizioni immaginabili per l’eternità. Poi si ritirò in una cava naturale (andreon) sulla montagna sacra di Kogainon [4] nei monti Bucegi in Dacia (nell’odierna Romania) e discese nel mondo sotterraneo, dove restò per tre anni (alcuni racconti vogliono che durante questo periodo sia stato nell’Ade) [5]. I suoi fedeli — a cui egli appariva in visione sotto forma di «anima disincarnata» — piansero la sua prematura dipartita, ma al quarto anno egli ritornò in superficie, confermando così il suo insegnamento [6]. Quindi sparì nuovamente per comparire qua e là di tanto in tanto, presso le sue genti: e non con il corpo fisico che aveva in vita, ma sotto forma di daimon («spirito immortale»). Come commenta Eliade,

« la ‘scomparsa’ (occultazione) e la ‘ricomparsa’ (epifania) di un essere divino o semi-divino (re messianico, profeta, mago, legislatore) costituisce parte di uno scenario mitico-rituale assai diffuso nel mondo mediterraneo e asiatico. »[7]

La caverna di Zalmoxis [via RomaniaJournal]

Erodoto riferisce le dottrine religiose dei Geti: essi credevano nell’immortalità dell’anima e, una volta iniziati ai Misteri correlati, reputavano la morte semplicemente un viaggio per ricongiungersi al loro dio Zalmoxis nella dimensione altra che egli per primo aveva scoperto (similmente allo Yama/Yima indo-iranico, che è al tempo stesso l’«Uomo Primordiale» e il Giudice dei Morti). Ellenico parla inoltre di due tribù tracie confinanti con i Geti, segnatamente i Terizi e i Crobizi, che pure credevano di raggiungere, dopo la dipartita fisica, il semidio Zalmoxis; tuttavia, a parere di questi ultimi, «la permanenza presso il dio non era definitiva e si consolavano pensando che i morti sarebbero tornati» [8]

La tradizione armena conosce una caverna dove si diceva che Meher (cioè Mihr/Mithra) si appartasse per uscirne soltanto una volta all’anno [9]; tema iranico che si ripercuote anche sulle leggende cristiane della Natività nella grotta di Betlemme. Sull’etimologia del nome Zalmoxis, che i manoscritti greci riportano anche in forme alternative come Salmoxis, Zamolxis, Samolxis, gli antichi hanno avanzato diverse teorie. Quella preponderante accosta il suo nome a quello di divinità telluriche come Zemelo e Žemelė, frigia la prima baltica la seconda, nonché con il dio lituano Zjameluks. Se questa etimologia fosse corretta, sarebbe innegabile anche la correlazione con Semele, madre del Dioniso trace (ricordiamo che i Geti erano Traci). Tutti questi termini derivano dalla radice indoeuropea *G’HEMEL («terra, suolo, appartenente alla terra»), che ci riporta all’àmbito simbolico ctonio-tellurico: e infatti a quanto pare Zalmoxis era anche chiamato Gebelezis [10].

LEGGI ANCHE “Ipocrisia antica” e “ipocrisia moderna”: la maschera e il “daimon”

Per quanto riguarda il suo nome più noto, comuque, sembra che la questione non cambi: essendo xais un termine scito per indicare «signore, re, capo», possiamo tradurre Zalmoxis come «Signore della Terra» o «Re del Suolo» [11] (o probabilmente, meglio, del sottosuolo, inteso nel senso esoterico di dimensione sotto o piuttosto dietro quella ordinaria). Geticus propose la traduzione di «Re del Mondo» [12], citando Guénon e Ossendowski, e Porfirio registrò anche l’esistenza di un termine tracio, zalmon, che avrebbe il significato di «nascosto»: se fondata, farebbe di Zalmoxis il «dio nascosto», o il «dio occulto». Da ciò, alcuni vedrebbero in Zalmoxis anche il «Signore dei Morti», ma a parere di altri, tra cui il celebre ricercatore di storia tracia I.I. Russu, «il valore semantico del tema zamol – è “la terra”, “il potere della terra” e Zalmoxis non può significare altro che il “dio della terra”, personificazione di ogni forma di vita e del grembo materno in cui ritornano tutti gli uomini» [13]. Nondimeno, resta da sottolineare l’utilizzo del termine «nascosto» nella tradizione ungherese con riferimento allo stato degli sciamani durante la trance catalettica [14].

Tuttavia Diogene Laerzio testimoniò che in tracio Zalmosside significa «pelle d’orso», il che effettivamente potrebbe aver senso se letto in un’ottica iniziatica di männerbünde [15] del tipo dei Luperci romani o dei Berserkir e degli Ulfhedhinn — ovvero rispettivamente «coloro che hanno la pelle d’orso» e «coloro che hanno la pelle di lupo» [16] — e al tempo stesso in connessione con l’incubatio praticata dagli iatromanti apollinei, oltre che da Zalmoxis.

Questa connessione non è da sottovalutare se confrontata con le pratiche rituali dello “sciamanesimo apollineo”, in quanto si suppone che l’istituzione dei Luperci e la celebrazione dei Lupercali [17] fossero originariamente competenza dei sacerdoti di Sur/Soranus, detto l’«Apollo Nero» — «dio-lupo» pre-romano, italico ed etrusco, che trova nell’Apollo Lyceus dei Licî [18] una perfetta corrispondenza), venerato con riti ancestrali sulla vetta del monte Soratte. I suoi sacerdoti divennero famosi nell’antica Roma con il nome di Hirpi Sorani («Lupi di Soranus»; dalla lingua osca-sannita-sabina hirpus = «lupo»), tra le altre cose perché la ritualistica ad essi riferita era profondamente imbevuta da suggestioni sciamaniche: nel corso delle cerimonie, essi camminavano sui carboni ardenti, tenendo in mano le interiora delle capre sacrificate. Secondo un’antica tradizione, «un oracolo consigliò ai loro antenati di condurre una vita dedita a rapine e razzie per sfuggire a una pestilenza» e di compiere un sacrificio annuale in onore di Apollo presso il Monte Soratte [19]. Con questa premessa, forse, si può azzardare l’ipotesi che Zalmoxis non fosse tanto una divinità, quanto piuttosto una funzione sacrale, fondata appunto sull’esperienza iniziatica dell’incubatio e del letargo visionario, all’interno dell’alveo cultuale e rituale apollineo.

LEGGI ANCHE Divinità del Mondo Infero, dell’Aldilà e dei Misteri

I riti misterici correlati allo spirito di uno iatromante di nome Anfiarao, che si diceva essere stato “risucchiato” dalla terra a Tebe e reso immortale in guisa di daimon sotterraneo [20] — che, a pensarci bene, è praticamente la stessa identica storia che viene raccontata su Zalmoxis [21] — ci possono dare motivo del perché potremmo propendere per l’interpretazione di Diogene Laerzio. Nell’ipogeo in cui Anfiarao fungeva da oracolo, infatti, l’incubatio avveniva all’interno di pelli di ariete appena scuoiato, pratica iniziatica che si ritrova anche in diversi centri oracoli della Puglia nonché, in età arcaica, nella ritualistica dell’India vedica. La pelle degli animali sacrificati conosceva un ampio utilizzo in questi centri sapienzali, dalla previsione del futuro alla magia meteorologica ai riti purificatorî; pratiche simili sono ancora oggi in vigore nelle steppe mongolo-siberiane e caucasiche.

Questa tradizione è riportata anche con riguardo all’eroe Podalirio, che si diceva essere figlio di Asclepio, e dunque apollineo. Anch’egli era diventato, dopo la morte fisica, un daimon sotterraneo, e i pellegrini che giungevano sulla sua tomba «sacrificavano un montone e dopo averlo scuoiato si avvolgevano nella sua pelle coricandosi a dormire proprio sul sepolcro», in quanto, per prendere in prestito le parole di Licofrone, «a tutti quelli che si addormenteranno sulla sua tomba in pelli di montone egli rivelerà in sogno oracoli veritieri e […] sarà invocato come guaritore di malattie» [22].

In più, tornando a Zalmoxis e all’ipotesi di Diogene, si deve aggiungere che l’orso è l’animale sciamanico per antonomasia in Asia come in America (dove ricopre il ruolo di Antenato mitico e di Iniziatore [23]) ed è sempre presente simbolicamente nei rituali di incubatio di questo genere, in quanto il neofita o l’adepto, emulando il letargo del plantigrado, riuscirebbe simpaticamente (vale a dire, con l’utilizzo della cd. «magia simpatica») a mettersi nei suoi panni. Tali pratiche sono state vive a lungo non solo in Siberia e in Eurasia, ma anche nell’Europa occidentale, soprattutto sui Pirenei — dove l’Orso è ancora oggi il personaggio centrale della celebrazione del Carnevale, nei panni del «capro espiatorio» da sacrificare per «cacciare l’inverno» — e nelle Isole Britanniche. Philippe Walter (autore di un pregevole studio sul mito del re Artù che ci verrà utile più avanti in questo nostro studio [24]) pone il dio-sciamano dei Geti in relazione con l’Artù bretone, basandosi anch’egli sul profilo etimologico e arrivando alle stesse conclusioni suggerite dal Laerzio:

« Questo nome derivato dal trace zalmos, “pelliccia, pelle”, ricorda il carattere ursino dell’essere divino avvolto alla nascita in una pelle d’orso [25]. […] Non solo Zalmoxis esalta l’esistenza di un Oltretomba in cui vivere in compagnia dei suoi fedeli, ma il suo destino “postumo” ha moltissimi punti in comune con quello di Artù, che parte provvisoriamente per Avalon, per poi tornare a regnare sui suoi. »[26]


Note:

[1] Cfr. Mircea Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan, Astrolabio-Ubaldini, Roma 1975, cap. II, “Zalmoxis”, pp. 26-71.

[2] Id., ivi, p. 33.

[3] Id., ivi, p. 61.

[4] Id., ivi, p. 56.

[5]  Id., ivi, pp. 34-35. Anche i Narti e gli Osseti, discendenti dagli Sciti, hanno tradizioni simili. Essi ritengono che post-mortem l’anima «giung[a] a un crocicchio di tre strade: le due laterali conducono l’una al cielo, l’altra all’inferno; si deve preferire quella di mezzo: il morto che la imbocca giunge al luogo dove, fra i Narti assisi, troneggia Barastyr, re dei Morti». Troviamo qui un tema importante ai fini della nostra ricerca: tradizionalmente si ritiene che l’anima dopo il decesso debba imboccare una via a discapito delle altre e che solo chi conosce la via giusta può arrivare nell’aldilà del dio. Questo è un punto di primaria importanza. La conoscenza delle vie celesti, sovente rappresentate sotto forma di fiumi (si pensi ad es. ai quattro fiumi inferi della mitologia greca, o agli altrettanti che sorgono dalla vetta del monte Meru nella cosmologia vedica) è indispensabile per arrivare al cospetto del dio, in uno stato post-mortem preferenziale rispetto alla massa indifferenziata di non-iniziati. Kowalewski fa derivare la figura del sovrano dei morti Barastyr dal mazdeismo, mettendolo in relazione con lo Yima indo-iranico. Tuttavia Dumézil, che lo cita, è dell’opinione che Barastyr sia un dio specificamente osseto, derivante, ad ogni modo, da una mitologia comune alla quale appartiene anche l’aldilà dell’India vedica che, a parere dell’autore, è più vicino alla descrizione dell’Oltretomba osseto [George Dumézil, Storie degli Sciti, Rizzoli, Milano 1980, p. 254].

LEGGI ANCHE Dioniso allo specchio: la maschera, il Daimon e la metafisica dell’«altro-da-sé»

[6] Eliade, Zalmoxis, cit., p. 26.

[7] Id., ivi, p. 31.

[8] Id., ivi, p. 34.

[9] Id., ivi, p. 32.

[10] Id., ivi, p. 26.

[11] Id., ivi, p. 46.

[12] Geticus [alias Vasile Lovinescu], La Dacia iperborea, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1984, op. cit., p. 42.

[13] Eliade, Zalmoxis, cit., p. 47.

[14] Anikó Steiner, Sciamanesimo e folclore, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma 1980, pp. 34-36.

[15] Id., ivi, cap. I, “I daci e i lupi”, pp. 10-25.

[16] Cfr. Marco Maculotti, Metamorfosi e battaglie rituali nel mito e nel folklore delle popolazioni eurasiatiche, su «AxisMundi.blog», 18 maggio 2016.

[17] Per due brevi ma acuti commenti sulla confraternita prisca dei Luperci e i riti da compiuti in occasione dei Lupercali, cfr. George Dumézil, La religione romana antica, Rizzoli, Milano 1977; Renato Del Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Arya – Compagnia della Tradizione, Genova 2020, pp. 129-135.

[18] Cfr. infra, cap. II §6.

[19] Christian Sighinolfi, I guerrieri-lupo nell’Europa arcaica. Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli indoeuropei, il Cerchio, Rimini 2011, pp. 91-92.

[20] Cfr. infra, §13.

[21] È interessante a riguardo il passo di Mneso di Patara, discepolo di Eratostene, secondo cui «i Geti veneravano Cronos e lo denominavano Zalmoxis», che Eliade considera da connettere al culto di Saturno come «sovrano delle Isole Felici dove soggiornano le anime dei giusti» [Eliade, Zalmoxis, cit., p. 34]; a riguardo, cfr. infra, soprattutto capp. III §8 &  IV §1, 3.

[22] Mariateresa Fumagalli Beoni Brocchieri &  Giulio Guidorizzi, Corpi gloriosi. Eroi greci e santi cristiani, Laterza, Bari 2012, p. 62.

[23] Cfr. Antonio Bonifacio, I popoli dell’Orsa Maggiore: Lungo la via degli orsi e degli sciamani. Lo sciamano, l’orso e il cacciatore celeste, Simmetria Edizioni, Roma 2021. 

[24] Cfr. infra, cap. IV §§5 sgg.

[25] L’orso è inoltre legato anche alla regalità, oltre che alle pratiche sciamaniche: Artù dell’orso è infatti “doppio” antropomorfo, e al tempo stesso l’orso è suo “doppio” zoomorfo. Non è un caso se nell’antica Irlanda celtica la parola art stava indifferentemente per «Orso» e per «Re»; sicuramente il ciclo arturiano, storicamente nato in Bretagna (ovvero in un’altra terra gaelica) ha riutilizzato motivi mitici assai più arcaici sotto una veste nuova, adatta al periodo medievale e “cavalleresco”.

[26] Philippe Walter, Artù. L’orso e il re, Arkeios, Roma 2005, p. 86. CATEGORIZZATO IN:ANTROPOLOGIAESOTERISMOESTRATTIMITOSCIAMANESIMOSTORIA DELLE RELIGIONI

Religione e Spiritualità

Spiritualità e religione sono due concetti apparentemente molto simili e spesso confusi tra loro ma, nella realtà, molto diversi. Generalmente sono termini utilizzati in modo analogo e interscambiabile, seppur rilevino aspetti differenti della loro natura. Spesso possono sfociare in un unico grande costrutto, altre volte invece possono essere profondamente differenti e, a tratti, contrastanti. 
Religione e spiritualità condividono l’aspetto della ricerca che tende a qualcosa di profondo, trascendente, oltre il fisico e la natura umana e che rappresenta lo spirito profondo dell’essenza del mondo.

Enrico Baccarini chiaro ed essenziale

si ringrazia Enrico Baccarini ricercatore indipendente giornalista, scrittore e editore.
Ha una laurea in Psicologia e ha conseguito successivamente un Bachelor in Antropologia e uno in Studi Asiatici.
È docente di Orientalistica, come professore emerito, presso l’Università Popolare Maitri.

Marco Maculotti “OLTRE: Ufologia & Esoterismo.” con Società dello Zolfo

Quando oggi si usa il termine «alieno», lo si utilizza sempre nell’accezione di «extraterrestre». Ma l’«alio» latino, da cui deriva l’«alieno» italiano, indica più generalmente una situazione di alterità rispetto all’essere umano, o meglio agli esseri umani viventi. «Alii» erano quindi, per gli antichi Romani, gli spiriti dei morti, nonché tutte quelle entità dell’Altro Mondo che esulavano dalla «norma» umana, e quindi, semplificando, sia gli dèi che i demoni. In questa sede, partendo dall’ipotesi parafisica di John Keel e Jacques Vallée, vogliamo analizzare i numerosi aspetti del moderno fenomeno UFO (e soprattutto delle «abduction») che appaiono correlati con le antiche tradizioni e con il folklore riguardante le entità fatate e “sottili” dell’Altro Mondo, dal rapimento di esseri umani da parte di questi ultimi al «Changeling», dal misterioso fenomeno del «Missing Time» a quello altrettanto enigmatico dei «cerchi nel grano».
ARTICOLI RILEVANTI DELL’AUTORE: – Il culto dei Fairies nei paesi celtici: una escatologia di morte e rinascita, su Arthos n.29 – Chi si nasconde dietro la maschera? Le visite dall’Altrove e l’ipotesi parafisica https://axismundi.blog/2018/06/06/chi… – I rapimenti dei fairies: il “changeling” e il “rinnovamento della stirpe” https://axismundi.blog/2017/10/31/i-r… – I rapimenti dei Fairies e il mistero dei “Missing 411” https://axismundi.blog/2020/01/14/i-r… – Fairies, streghe e dee: il “nutrimento sottile” e il “rinnovamento delle ossa” https://axismundi.blog/2019/03/20/fai… – “Il ritorno dei Popoli delle Stelle”: gli X-Files delle Riserve Indiane https://axismundi.blog/2021/03/07/il-… – L’accesso all’Altro Mondo nella tradizione sciamanica, nel folklore e nelle “abduction” https://axismundi.blog/2018/01/05/lac… – Il fenomeno della paralisi nel sonno: interpretazioni folkloriche e ipotesi recenti https://axismundi.blog/2016/04/07/il-… LIBRI RILEVANTI E/O CITATI NELLA PRESENTAZIONE: – W.Y Evans-Wentz, The Fairy Faith in Celtic Countries, 1911 (it. Fate: una fede celtica) – L. Spence, British Fairy Origins, 1946 – R. Kirk, The Secret Commonwealth… (it. Il Regno Segreto) – W. Sikes, British Goblins, 1880 (it. Elfi, Fate e Pooka) – G. Hancock, Supernatural. Meetings with the Ancient Teachers of Mankind (it. Sciamani) – J. Bord, Fairies. Real Encounters with Little People (it. Fate) – J. Vallée, Passport to Magonia. From Folklore to Flying Saucers (it. Passaporto per Magonia) – J. Keel, U.F.O.s Operation Trojan Horse (it. UFO: Operazione Cavallo di Troia) – J. Mack, Passport to the Cosmos (it. Passaporto per il cosmo) – W. Strieber, Communion – B. Hopkins, Intruders – B. Hopkins, Missing Time – M. Conese, La malattia delle fate – W.B. Yeats, The Celtic Twilight (it. Il crepuscolo celtico) – M. Eliade, Le chamanisme et les techniques archaïques de l’extase (it. Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi) – W. Deonna, Télesphore et le “genius cucullatus” celtique (it. Dèi, geni e demoni incappucciati) – A. Machen, The Novel of the Black Seal (it. La storia del sigillo nero) – A. Machen, The White People/A Fragment of Life (it. Un frammento di vita/Il popolo bianco) – W. Irving, Rip van Winkle – A. Blackwood, May Day Eve (it. La Vigilia del Primo Maggio) VISIONI: – Communion (1989) – Intruders (1992) – Nightmare (2015) – Enquete sur le Monde Invisible (2002) – Fire in the Sky (it. Bagliori nel buio, 1993)

Si ringrazia Marco Maculotti e Società dello Zolfo

Clicca il link e scarica e visiona PDF dell’intervento

Nan Madol misteri del Pacifico

Nan Madol, oggigiorno, è un cumulo di pietre situate lungo la costa orientale dell'isola di Pohnpei e costituì l’antica capitale della dinastia Saudeleur fino al 1500. Analisi al radiocarbonio ha permesso di datare le costruzioni di Nan Madol al 1200 d.C. ma scavi archeologici effettuati negli ultimi anni hanno retrodatato gli insediamenti umani nella zona almeno al 200 a.C. 
Scopriamo in questo video la sua storia e i suoi misteri.

si ringrazia Enrico Baccarini ricercatore indipendente giornalista, scrittore e editore. Ha una laurea in Psicologia e ha conseguito successivamente un Bachelor in Antropologia e uno in Studi Asiatici. È docente di Orientalistica, come professore emerito, presso l’Università Popolare Maitri.

Powered by WordPress.com.

Up ↑