Come il fuoco sprigiona a migliaia le infuocate scintille….

Mo Kalache Sol Vir

Mundaka Upanishad 

La Mundaka Up., che appartiene all’Atharvaveda, è una delle Upanisad più celebrate e commentate nell’India.
Il titolo sembra significare che essa si rivolge a un ordine di asceti che seguivano il voto della «rasatura» del capo; ma potrebbe pure alludere all’effetto dell’insegnamento in essa impartito, che è tale da «radere», ossia distruggere, l’errore.
La conoscenza dell’identità tra Atman e Brahman, che si raggiunge quando si sia purificato l’animo per mezzo dell’ascesi e della condotta moralmente pura, conferisce la liberazione dal ciclo delle esistenze, l’assorbimento e, a quanto sembra, la dissoluzione nell’Assoluto; il rito e il sacrificio, in quanto ancorati alle cose terrene, permettono soltanto una felicità transitoria. L’Assoluto è l’origine di tutto. si muove nell’intimo di ognuno, ma tutto trascende ed è il traguardo da raggiungere [chiamato BrahmanAtmanPurusa («spirito universale») e Tat; ma non c’è equivalenza completa fra i termini, se è vero che il Purusa in 3, 1, 3 è detto matrice del Brahman. Frequenti sono i contatti e le derivazioni da altre Upanisad, cosicché la Mund. Up. deve essere considerata tra le più recenti delle Upanisad vediche.


PRIMO KHANDA
1. Brahma fu il primo degli dei. Creatore dell’universo, protettore del mondo, egli espose la scienza del Brahman, fondamento d’ogni altra scienza, al figlio maggiore Atharvan.
2. La scienza del Brahman, che Brahma aveva rivelato ad Atharvan, Atharvan a sua volta l’espose ad Angir, questi a Bharadvaja Satyavaha, Bharadvaja ad Angiras, sia la superiore, sia l’inferiore.
3. Saunaka, possessore di grandi ricchezze, avvicinatosi secondo il dovuto ad Angiras, gli chiese:
«O signore, qual è la cosa che, conosciuta, permette di conoscere tutto?».
4. A lui quegli rispose: I conoscitori del Brahman dicono che bisogna conoscere due scienze, la superiore e l’inferiore.
5. «Di esse l’inferiore è costituita dal Rgveda, dal Yajurveda, dal Samaveda, dall’Atharvaveda, dalla fonetica, dalla ritualistica, dalla grammatica, dall’etimologia, dalla metrica, dall’astronomia.
La [scienza] superiore è quella per mezzo della quale si raggiunge l’Indistruttibile».
6. «Invisibile, inafferrabile, senza famiglia né casta, senza occhi né orecchie, senza mani né piedi, eterno, onnipresente, onnipervadente, sottilissimo, non soggetto a deterioramento, Esso è ciò che i saggi considerano matrice di tutto il creato».
7. «Come il ragno emette [il filo] e lo riassorbe, come sulla terra crescono le erbe, come da un uomo vivo nascono i capelli e i peli, così dall’Indistruttibile si genera il tutto».
8. «Il Brahman si forma per mezzo dell’ascesi, da esso nasce l’alimento, dall’alimento il respiro vitale, la mente, la verità, i mondi e ciò ch’è immortale nelle azioni».
9. «Da colui che tutto conosce, che sa tutto, per il quale l’ascesi è costituita dalla conoscenza, da costui nasce questo Brahman, ossia l’individualità e l’alimento».

SECONDO KHANDA
Questa è la verità:
1. Le azioni sacrificali, che i poeti videro [e descrissero] nelle raccolte degli inni sacri, sono state ripetutamente realizzate dinanzi ai tre [fuochi del sacrificio]. Effettuatele sempre, voi che bramate il vero: questa è la via che vi condurrà al mondo [che si conquista] con le opere buone.
2. Quando la fiamma balena, essendo stato acceso il fuoco sacrificale, allora in mezzo alle due porzioni di burro liquefatto bisogna gettare le offerte [del sacrificio].
3. Se uno compie l’agnihotra senza accompagnarlo con i riti del novilunio e del plenilunio, [del giorno iniziale] delle tre stagioni, dell’offerta dei primi raccolti, senza [tributare le dovute onoranze agli] ospiti, oppure se non lo compie, o non lo dedica a tutti gli dei, o non lo compie secondo le regole, per costui [le manchevolezze riscontrate] distruggono tutti i mondi fino al settimo
4. La Nera, la Terribile, la Rapida come il pensiero, la Tutta rossa, la Tutta fumosa, la Scintillante e la Divina tutta splendente, queste sono le sette lingue balenanti [del fuoco sacro].
5. Se uno compie il sacrificio quando queste scintillano, porgendo le offerte sacrificali al tempo dovuto, esse, [come] raggi di sole, lo conducono dove risiede l’unico signore degli dei.
6. Dicendogli «Vieni! vieni!», le risplendenti offerte scortano il sacrificatore su per i raggi del sole, rivolgendogli parole gentili e onorandolo: «Questo è il mondo del Brahman, puro e perfetto, a te [riservato]».
7. [Simili a] instabili barche sono le diciotto forme di sacrificio nelle quali s’esprime l’opera inferiore (l’atto rituale). Gli sciocchi che considerano questa come il sommo bene, ricadono nella vecchiezza e nella morte.
8. Trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli sciocchi s’aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco.
9. Variamente immersi nell’ignoranza, puerilmente essi pensano: «Abbiamo raggiunto il nostro scopo!». Legati all’azione, oppressi da ciò che non comprendono a causa della passione, una volta che hanno esaurito [il frutto dell’azione e] il mondo [che quella ha determinato], precipitano [di nuovo nel samsara].
10. Convinti che il sacrificio e le azioni meritorie siano il meglio, quegli sciocchi non conoscono null’altro di superiore. Dopo aver goduto sulla cima dell’universo del loro buon agire, cadono in questo mondo o [anche] in uno più basso.
11. Coloro invece che nella foresta sono dediti all’ascesi e alla fede, sereni, saggi, vivendo d’elemosina, puri, attraverso la porta del sole giungono là dove sta lo Spirito Universale, l’immortale, l’immutabile Atman.
12. Un brahmano, considerando che [l’acquisizione dei] mondi [ultraterreni] è fondata sull’azione, può essere preso dalla disperazione al pensiero che ciò che è increato non può discendere da ciò che è creato. Per aver la conoscenza, allora, deve rivolgersi, con il combustibile in mano [come un alunno], a un maestro, esperto delle dottrine sacre, assorto nel Brahman.
13. S’avvicina a lui con rispetto, con lo spirito placato, del tutto sereno, e il saggio a lui rivela secondo verità questa scienza del Brahman, per la quale giunge a comprendere l’indistruttibile Spirito Universale, la verità.

SECONDO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
Ecco la verità:
1. Come da un fuoco ben acceso a migliaia si dipartono scintille che hanno la stessa natura, così dall’Indistruttibile, o caro, diverse creature nascono e in esso poi ritornano.
2. Divino, incorporeo è lo Spirito Universale; esso comprende ciò che è esteriore e ciò che è interiore, è innato. Senza respiro, senza intelletto, puro, è superiore all’Indistruttibile, che a sua volta tutto trascende.
3. Da Lui nascono il respiro vitale, l’intelletto e tutti gli organi dei sensi, l’etere, il vento, la luce, le acque, la terra, sostegno di tutto.
4. Il fuoco è la [sua] testa, la luna e il sole sono i [suoi] occhi, i punti cardinali sono le [sue] orecchie, i Veda rivelati son la [sua] voce, il vento il [suo] respiro, il mondo è il [suo] cuore, la terra [procede] dai [suoi] piedi, egli è l’anima interiore di tutte le cose create.
5. Da Lui [proviene] il fuoco, per il quale il sole costituisce il combustibile, dalla luna [vien] la pioggia, [dalla pioggia nascono] le piante sulla terra, quindi il maschio versa il seme nella femmina: dallo Spirito Universale sono state generate molte creature
6. Da Lui [derivano] gli inni, la melodia, le formule sacrificali, l’iniziazione, i sacrifici, tutti i riti e le offerte sacrificali, l’anno, il sacrificatore e i mondi dove brilla la luna e dove brilla il sole.
7. Da Lui sono stati in varia guisa generati gli dei, gli esseri celesti, gli uomini, le bestie, gli uccelli, il prana e l’apana, il riso e l’orzo, l’ascesi, la fede, la verità, la castità e le regole.
8. Da Lui derivano i sette prana, le sette fiamme, il combustibile, le sette oblazioni, i sette mondi dove si muovono i prana, che stanno nell’intimo [d’ognuno] disposti a sette a sette
9. Da Lui [procedono] gli oceani e tutte le montagne, originati da Lui scorrono i fiumi d’ogni tipo, da Lui [provengono] tutte le piante e la linfa vitale, cosicché può dirsi che Egli, come anima interiore, dimora in ogni creatura.
10. Lo Spirito Universale è l’universo: azione, ascesi, Brahman, immortalità suprema. Colui che lo riconosce riposto nel profondo [del cuore], costui quaggiù scioglie i nodi dell’ignoranza, o caro.

SECONDO KHANDA
1. Il rifugio supremo (ossia il Brahman) s’è manifestato, esso che porta il nome di  «moventesi nel profondo». Ciò che si muove e respira e palpita negli occhi in Esso è fissato. Sappiate che Esso è migliore dell’Essere e del non Essere, che è superiore alla conoscenza, che è il meglio per le creature.
2. Esso è fulgente, più sottile del sottile, in Esso risiedono i mondi e i loro abitanti, Esso è l’indistruttibile Brahman, è il respiro, la parola, l’intelletto, Esso è la verità, l’immortale. Sappi, o caro, che Esso è il [bersaglio] da colpire.
3. Avendo preso per arco la grande arma costituita dalle Upanisad, e avendola tirata con la mente che è giunta a [comprendere] la natura del Tat, s’incocchi la freccia acuita dalla meditazione. Sappi che questo eterno è il [bersaglio] da colpire, o caro.
4. Si dice che la sillaba Om è l’arco l’Atman è la freccia, il Brahman è il traguardo. Senza distrazioni, questo bisogna colpire. Come la freccia [s’immedesima nel bersaglio, in egual modo] l’uomo otterrà l’identità con il Tat.
5. In Esso sono tessuti il cielo, la terra e l’atmosfera, la mente insieme con tutti gli organi di senso: riconoscetelo come l’Atman unico-esistente. Lasciate ogni altro discorso. Questo è il ponte dell’immortalità.
6. In Esso, come i raggi nel mozzo della ruota, si congiungono le arterie; Esso si muove [celato] all’interno, pur manifestandosi in varie guise. Meditate sull’Atman, considerandolo come la sillaba Om. La fortuna vi assista nel passaggio al di là delle tenebre.
7. Colui che tutto conosce, tutto sa, del quale sulla terra si contempla la grandezza, questo Atman è fisso nel firmamento, nella celeste cittadella del Brahman
8. Esso è fatto di pensiero, regge lo spirito vitale e il corpo, risiede nell’alimento. Controllando il cuore i saggi lo contemplano per mezzo della conoscenza, Esso che risplende immortale, costituito di felicità.
9. Si spezza il nodo del cuore, si sciolgono tutti i dubbi, si dissolvono tutte le azioni quando si riconosce il [Brahman nelle sue due forme] superiore e inferiore.
10. Dietro un aureo sublime velo risiede il Brahman puro, indiviso, brillante, luce delle luci: Esso è quello che conobbero i conoscitori dell’Atman.”
11. Là non riluce il sole, non la luna e le stelle, non brillano i lampi, per non parlar del fuoco; tutto l’universo risplende se Esso risplende, tutto questo universo brilla della sua luce
12. Questo è il Brahman immortale. Il Brahman si distende a oriente e a occidente, a Sud e a Nord, in alto e in basso. Il Brahman è il Tutto, è l’ottimo.

TERZO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
1. Due alati, stretti amici, sono attaccati allo stesso albero. L’un d’essi mangia i dolci fichi, l’altro senza mangiare guarda attentamente.
2. Su un albero eguale lo spirito individuale, imprigionato, soffre, accecato dalla sua impotenza; quando vede l’altro, il signore sovrano nella sua soddisfazione e nella sua maestà, è libero dal dolore.
3. Quando il meditante distingue l’aureo creatore, il sovrano, lo Spirito Universale, che è matrice del Brahman, allora, raggiunta la conoscenza, dopo essersi liberato del bene e del male, senza macchia, raggiunge l’identità suprema.
4. Esso è il soffio vitale che risplende in tutte le creature. Colui che comprende, colui che conosce, non parla senza criterio. Si compiace dell’Atman, gode dell’Atman, e, pur compiendo le azioni sacrificali, diventa il migliore dei conoscitori del Brahman.
5. Con la verità, con l’ascesi, con la retta conoscenza, con la castità continua è possibile [cercare di] ottenere questo Atman. Costituito di luce, puro, Esso abita dentro il corpo. Gli asceti lo contemplano quando hanno cancellato le loro colpe.
6. La verità vince, non la menzogna; attraverso la verità passa la via che porta al mondo degli dei. Lungo di essa i veggenti che hanno realizzato i loro desideri giungono là dove si trova il Tat, la suprema dimora della verità.
7. Il Tat risplende, grande, divino, inconcepibile nella sua forma, più sottile del sottile; lontanissimo, distante, Esso è pur qui vicino sulla terra, nascosto nell’intimo [del cuore] per coloro che [rettamente] vedono.
8. Non è possibile raggiungerlo con l’occhio, né con le parole, né con gli altri organi dei sensi, o con l’ascesi o con l’azione sacrificale. Chi ha l’animo puro per la luce della conoscenza lo vede nella sua interezza quando medita.
9. Questo Atman sottile può essere conosciuto [soltanto] con il pensiero, nel quale il respiro è penetrato con le sue cinque forme: tutto il pensiero delle creature è [infatti] intessuto con i soffi vitali Quando [il pensiero] è purificato, risplende allora l’Atman.
10. Qualsiasi mondo con la mente si formi, qualsiasi desiderio concepisca, chi ha l’animo puro tale mondo conquista e tale desiderio. Chi desidera la felicità onori dunque il conoscitore dell’Atman

SECONDO KHANDA
1. Costui (il conoscitore dell’Atman) conosce la sede suprema del Brahman: fondato su di esso l’intero universo rifulge, puro. I saggi, che, privi di desideri, venerano lo Spirito Universale, passano oltre [ogni] impurità.
2. Colui che nella mente concepisce desideri, costui rinasce ora qui ora là secondo i desideri. Per chi ha placato i desideri e si è preparato interiormente, già qui in terra tutti i desideri si dissolvono.
3. Non è possibile raggiungere l’Atman con l’insegnamento, e neppure con l’intelletto né con molta dottrina. Lo può ottenere soltanto colui che Esso trasceglie; a costui l’Atman medesimo rivela la propria essenza
4. L’Atman non può essere raggiunto da chi non ha forza, e neppure attraverso la distrazione o un’ascesi irregolare. Soltanto l’animo di colui che, saggio, si sforza con i mezzi [adatti], entra nella dimora del Brahman.
5. Avendolo ottenuto, i veggenti che sono soddisfatti della conoscenza, che si sono preparati interiormente, privi di passioni, placati, avendo ottenuto in ogni dove colui che dappertutto penetra, saggi, con lo spirito raccolto, penetrano nel Tutto.
6. Coloro che hanno come scopo ben determinato la conoscenza del Vedanta, gli asceti che si son purificati praticando la rinuncia, tutti costoro, al momento supremo, del tutto immortali, son liberi nei mondi del Brahman.
7. Le quindici parti [della natura umana] ritornano ai loro fondamenti tutti i sensi ritornano agli elementi cosmici corrispondenti. Le azioni e il sé costituito di conoscenza, tutti s’unificano nel principio supremo indistruttibile.
8. Come i fiumi che scorrono si dissolvono nell’oceano perdendo la loro individualità, così il saggio, liberato dall’individualità, s’immerge nel divino Spirito Universale, più alto della cosa più alta.
9. Colui che conosce questo supremo Brahman diventa il Brahman, e nella sua stirpe non nasce chi non conosca il Brahman. Supera il dolore, supera il male, libero dai legami interiori diventa immortale.
10. Ciò è stato dichiarato nel verso sacro: “Coloro che compiono i riti sacri, esperti nei Veda, devoti al Brahman, che, pieni di fede, se stessi sacrificano all’Unico veggente, a costoro, dopo che abbiano secondo il rito praticato il voto [della rasatura] del capo, deve essere insegnata questa scienza del Brahman”.
11. Questa è la verità che un dì proclamò il veggente Angiras. Chi non ha compiuto il sacro voto non può apprenderla. Onore ai sommi veggenti, onore ai sommi veggenti!


 Esistono due scienze, l’inferiore, costituita dai testi sacri e dalla pratica dei riti, e la superiore. Soltanto quest’ultima permette di raggiungere il Brahman, dal quale si genera e nel quale si ricongiunge tutto il creato, in un circolo senza fine: infatti – dice l’Upanisad anticipando le conclusioni – il Brahman si genera dall’ascesi, che è uguale alla conoscenza, e l’ascesi a sua volta si genera dal Brahman individuato, ossia dall’Assoluto che è presente nell’interiorità umana. 
 È questa una delle più antiche enumerazioni dei Vedanga, “”membri del Veda””, e sottolinea la derivazione delle varie scienze dalla considerazione del sacrificio.” 
 Il rito e il culto, rettamente eseguiti, permettono di raggiungere un’esistenza elevata e felice, ma pur sempre transitoria: l’increato non può raggiungersi partendo da ciò che è stato creato. Soltanto il ricorso a un maestro spirituale potrà consentire di superare il mondo con tutte le sue contingenze di bene e di male. Assai brusco è il passaggio dall’esaltazione del sacrificio alla svalutazione del medesimo (str. 7); ma le Upanisad sono opera di poeti e di mistici, i quali procedono per illuminazioni improvvise, per accenni, per antifrasi, non seguono un filo rigoroso di ragionamento. 
 I tre fuochi, garhapatya, ahavaniya e daksina, sono posti rispettivamente a occidente, a oriente e a meridione del luogo del sacrificio, e simboleggiano il sole, la terra, la luna. 
 Secondo una diffusa tradizione i mondi terreni e celesti sono sette. 
 18 è un numero tradizionalmente sacro; qui indica tutte le forme del sacrificio. 
 In questa strofe sono enumerate brevemente le tappe della dottrina dei cinque fuochi.
Vedi Ch.Up., 5, 3-10. 
 Secondo Sankara i sette prana sono gli organi dei sensi nella testa (occhi, orecchie, narici, bocca); le sette fiamme sono prodotte dall’attività di quegli organi; il combustibile è costituito dal complesso degli oggetti dei sensi; le oblazioni sono le percezioni di questi oggetti; i sette mondi infine si formano come risultato della percezione. 
Il battito delle palpebre è caratteristico dei mortali; gli dei hanno l’occhio fisso. 
 La meditazione sulla sillaba Om, simbolo dell’Assoluto, è il fulcro dell’insegnamento delle Upanisad. 
 
 I due uccelli rappresentano uno l’individuo ancor rivolto ai godimenti, l’altro l’asceta che è giunto alla contemplazione del Brahman. Cfr. Svet. Up., 4, 6-7. 
 La contraddizione con la str. 5 è evidente; ma, se l’ascesi è indispensabile premessa, il riconoscimento dell’identità Atman-Brahman supera ogni piano umano, rivelandosi come un’illuminazione mistica che nulla ha a che fare con la morale o la ragione. 
Le forze vitali si riassumono nel pensiero, che, pur da quelle sostenuto, ne è in certo modo l’espressione più alta. Quindi purificare il pensiero significa purificare completamente l’individuo. 
Come ad es. in Ch.Up., 8, 2, lo, anche qui alla raggiunta conoscenza viene attribuito un valore pratico: residuo dell’antica concezione che attribuisce alla verità e alla conoscenza il carattere magico di forza operante di per sé, o, forse meglio, indizio d’un attaccamento alla vita che l’idealismo prevalente non riesce del tutto ad annullare. 
 Non può prescindersi dalla condotta pura, come più volte è stato ripetuto; ma al Brahman giungono soltanto gli eletti dal Brahman stesso. In questa affermazione è da vedersi il primo spunto della posteriore dottrina della grazia divina salvatrice del devoto fedele. Cfr. Kath. Up., 1, 2, 23. 

Sogno di un’ombra è l’uomo. Ma se un lampo giunge, disceso dal cielo,allora splendida luce gli uomini investe,e dolce diviene la vita.

«τί δέ τις; τί δ᾽ οὔ τις; σκιᾶς ὄναρ / ἄνθρωπος. ἀλλ᾽ ὅταν αἴγλα διόσδοτος ἔλθῃ, / λαμπρὸν φέγγος ἔπεστιν ἀνδρῶν καὶ μείλιχος αἰών, Cosa siamo? Cosa non siamo? Sogno di un’ombra / l’uomo. Ma quando, dono degli dèi, appare un bagliore, / vivida luce si spande sugli umani, e dolce la vita» (VIII, 95-97, p. 172).


«Esseri della durata d’un giorno. Che cosa siamo? Che cosa non siamo?

Sogno d’ un’ombra l’uomo: ma quando un bagliore divino ci giunga

fulgido risplende sugli uomini il lume e dolce è la vita».

(PindaroPitica VIII, vv. 95-97).

A molti pare un saggio fra stolti
che la vita colma di giuste scelte
chi senza gran fatica prosperità ottiene;
ma la fortuna non sta in mano agli uomini,
gli dei soli posson recarla:
una volta uno levano in cielo,
ma un altro scaglian nel fango,
secondo misura.
A Megara un premio hai ottenuto, Aristomene,
ancora nella valle di Maratona, con tre vittorie hai
poi vinto il patrio agone, grande impresa;
su quattro corpi ti sei anche scagliato,
maledicendoli nella tua mente,
a loro nelle Pitiche si decretò: né un ritorno gradito,
né un dolce riso, una volta giunti presso la madre amata,
han recato loro la gioia; lontano dai nemici si rintanano
nelle vie solitarie, tormentati dalla sventura.
Chi ha ottenuto una nuova sorte grandiosa
vola pieno di speranza in una grande felicità,
alto sulle ali del suo valore, con brama più forte
della ricchezza. In un attimo dei mortali cresce
la gioia, ma allo stesso modo a terra precipita
se scossa da contrario volere divino.
Effimeri siamo: cos’è qualcuno?
cos’è invece nessuno? Sogno di un’ombra
è l’uomo. Ma se un lampo giunge, disceso dal cielo,
allora splendida luce gli uomini investe,
e dolce diviene la vita.

[Pitiche, VIII, 73-97]

εἰ γάρ τις ἐσλὰ πέπαται μὴ σὺν μακρῷ πόνῳ,
πολλοῖς σοφὸς δοκεῖ πεδ’ ἀφρόνων
βίον κορυσσέμεν ὀρθοβούλοισι μαχαναῖς·
τὰ δ’ οὐκ ἐπ’ ἀνδράσι κεῖται· δαίμων δὲ παρίσχει·
ἄλλοτ’ ἄλλον ὕπερθε βάλλων, ἄλλον δ’ ὑπὸ χειρῶν,
μέτρῳ καταβαίνει· ἐν Μεγάροις δ’ ἔχεις γέρας,
μυχῷ τ’ ἐν Μαραθῶνος, Ἥρας τ’ ἀγῶν’ ἐπιχώριον
νίκαις τρισσαῖς, ὦ Ἀριστόμενες, δάμασσας ἔργῳ·
Ετέτρασι δ’ ἔμπετες ὑψόθεν
σωμάτεσσι κακὰ φρονέων,
τοῖς οὔτε νόστος ὁμῶς
ἔπαλπνος ἐν Πυθιάδι κρίθη,
οὐδὲ μολόντων πὰρ ματέρ’ ἀμφὶ γέλως γλυκύς
ὦρσεν χάριν· κατὰ λαύρας δ’ ἐχθρῶν ἀπάοροι
πτώσσοντι, συμφορᾷ δεδαγμένοι.
ὁ δὲ καλόν τι νέον λαχών
ἁβρότατος ἔπι μεγάλας
ἐξ ἐλπίδος πέταται
ὑποπτέροις ἀνορέαις, ἔχων
κρέσσονα πλούτου μέριμναν. ἐν δ’ ὀλίγῳ βροτῶν
τὸ τερπνὸν αὔξεταῐ· οὕτω δὲ καὶ πίτνει χαμαί,
ἀποτρόπῳ γνώμᾳ σεσεισμένον.
ἐπάμεροι· τί δέ τις; τί δ’ οὔ τις; σκιᾶς ὄναρ
ἄνθρωπος. ἀλλ’ ὅταν αἴγλα διόσδοτος ἔλθῃ,
λαμπρὸν φέγγος ἔπεστιν ἀνδρῶν καὶ μείλιχος αἰών.

Λακωνικός Laconico

Lacònico dal lat. Laconĭcus, gr. Λακωνικός, di Λάκων «lacedemone, spartano»; laconĭcum.
Della Laconia, antica regione della Grecia, dialetto del greco antico, appartenente al gruppo dorico e parlato anticamente nella Laconia e nelle colonie di Taranto

Compiaciuta allusività, lo stile criptico ma asciutto, al contempo oracolare e apodittico

(apodèiknymi = dimostrare, apodeiktikòs = suscettibile di dimostrazione) cui non a caso si usa riferirsi con l’aggettivo “laconico”.

Gli Apoftegmi spartani ( Ἀποφθέγματα Λακωνικά, Apophthégmata Lakoniká) sono un’opera letteraria di Plutarco, catalogata all’interno dei Moralia, strutturata come una silloge di citazione di spartani

“detto”, “sentenza”, “massima”, e si usa per una frase o sentenza di tipo aforistico, che reca in estrema sintesi una verità profonda e al contempo stringente. In particolare, l’apoftegma ha dei tratti in comune con l’aneddoto, con la sentenza e con il proverbio, pur non essendo completamente riconducibile ad alcuno di essi.

 Έτσι και ο Λακωνικός λόγος δεν έχει περιττά περιβλήματα… (ΠΛΟΥΤΑΡΧΟΣ)

 Così il discorso laconico non ha allegati inutili… (PLUTARCHO)

RIGUARDO ALL’ADOLESCHIA
(adoleschia è linguaggio sfrenato (gergo, cenologia), IL DISCORSO)
Usare la ragione per quanto riguarda gli effetti di una condotta contraria, ascoltando sempre, ricordando ed essendo pronti a usare le lodi date alla segretezza e al carattere modesto, santo e misterioso del silenzio, senza dimenticare anche che chi dice poche e ben fatte parole e sa condensare in poche parole molti significati è più ammirato e amato e considerato più saggio di quei chiacchieroni dilaganti e parafrasanti.
Platone elogia persino queste persone, dicendo che sono come abili lancieri, perché ciò che dicono è pieno, pieno e condensato.
Anche Licurgo, costringendo i suoi concittadini fin dalla prima infanzia ad acquisire questa abilità attraverso il silenzio, li rese sobri e parsimoniosi nel parlare.
Vale a dire, come i Celtiberi temprano il ferro seppellendolo nella terra e poi ripulendo il grande accumulo di terra, così il discorso laconico non ha involucri superflui, ma, lavorato mediante l’eliminazione di tutto il surplus, viene temprato fino a diventa perfettamente efficace; la loro capacità di citazioni e la prontezza nelle risposte rapide è il frutto di tanto silenzio. Bisogna infatti mostrare ai chiacchieroni esempi di questo genere, affinché vedano quanta grazia e quanta potenza hanno; dicano: “Gli Spartani a Filippo; Dionigi a Corinto”. Così come quando Filippo scrisse loro: “Se invado la Laconia, vi espellerò”, essi risposero: “Se”.
Quando il re Demetrio si indignò e gridò: “Un ambasciatore mi è stato inviato dagli Spartani!” l’ambasciatore ha risposto con calma: “Uno contro uno”.
Anche tra gli antichi si ammirano i monologhi, e nel santuario dell’Apollo pitico gli Anfizionioni scrissero non l'”Iliade” e l'”Odissea” né i peana di Pindaro, ma gli “Gnothi sauton”, il “Miden agan” e l'”Engya” troppo”, ammirando la densità e la semplicità dell’espressione che racchiude un significato ben forgiato all’interno della brachilogia.
Non è forse il dio stesso che ama la brevità e la brevità dei suoi oracoli, e non è forse chiamato Loxia perché rifugge la verbosità piuttosto che l’oscurità?
Coloro che si esprimono simbolicamente, senza parlare, non sono molto ammirati e lodati?
Allora Eraclito, quando i suoi concittadini gli chiesero un parere sullo Stato, salì sul palco, prese una tazza d’acqua fredda, vi spruzzò farina d’orzo, la mescolò con un’ampolla, la bevve e se ne andò, mostrando così loro come si accontentano di ciò che hanno e non hanno bisogno di lussi mantengono le città in armonia e pace.
Sciluro, re degli Sciti, lasciò dietro di sé ottanta figli; quando stava per morire ordinò che gli fosse portato un fascio di lance e ordinò ai suoi figli di prenderle e di spezzarle mentre erano legate insieme.
Quando rinunciarono al tentativo, egli stesso prese le lance una ad una e le spezzò facilmente in due, mostrando così loro che la loro unità e unità era una cosa forte e invincibile, mentre la loro divisione era debole e instabile.

VOLUME DI ETICA
13
PLUTARCH

ΠΕΡΙ ΑΔΟΛΕΣΧΙΑΣ
(αδολεσχία είναι η ακατάσχετη ομιλία (αργολογία, κενολογία), Η ΦΛΥΑΡΙΑ)
Να χρησιμοποιήσουμε τη λογική μας ως προς τα αποτελέσματα της αντίθετης συμπεριφοράς, ακούγοντας πάντα, ενθυμούμενοι και έχοντας έτοιμα να χρησιμοποιήσουμε τα εγκώμια που αποδίδονται στην εχεμύθεια και τον σεμνό, ιερό και μυστηριακό χαρακτήρα της σιωπής, και χωρίς να ξεχνάμε επίσης ότι εκείνοι που λένε λίγα και καλοδουλεμένα λόγια και που μπορούν σε λίγες λέξεις να συμπυκνώσουν πολλά νοήματα θαυμάζονται και αγαπιούνται περισσότερο και θεωρούνται σοφότεροι από αυτούς τους αχαλίνωτους και παραφερόμενους φλύαρους.
Ο Πλάτων μάλιστα επαινεί τους τέτοιου είδους ανθρώπους, λέγοντας πως μοιάζουν με τους επιδέξιους ακοντιστές, γιατί αυτά που λένε είναι πλήρη, μεστά και συμπυκνωμένα.
Ο Λυκούργος, επίσης, αναγκάζοντας τους συμπολίτες του από τα πρώτα παιδικά τους χρόνια ν’ αποκτήσουν αυτή τη δεινότητα μέσω της σιωπής, τους έκανε περιεκτικούς και λιτούς στην ομιλία.
Όπως, δηλαδή, οι Κελτίβηρες ατσαλώνουν το σίδερο θάβοντάς το στη γη και μετά καθαρίζοντας τη μεγάλη συσσώρευση του χώματος, έτσι και ο Λακωνικός λόγος δεν έχει περιττά περιβλήματα, αλλά, δουλεμένος με την αφαίρεση όλων των περισσευούμενων, ατσαλώνεται μέχρι που γίνεται απόλυτα αποτελεσματικός· αυτή τους η ικανότητα για αποφθέγματα και η ταχύτητα προς εύστροφες απαντήσεις είναι καρπός της πολλής σιωπής. Πρέπει μάλιστα να προβάλλουμε στους φλύαρους τα τέτοιου είδους υποδείγματα, ώστε να μπορέσουν να δουν πόση χάρη και δύναμη έχουν· φερ’ ειπείν: “Οι Λακεδαιμόνιοι στον Φίλιππο· ο Διονύσιος στην Κόρινθο”. Όπως επίσης όταν ο Φίλιππος τους έγραψε: “Αν εισβάλω στην Λακωνική, θα σας διώξω”, εκείνοι του απάντησαν: “Αν”.
Όταν ο βασιλιάς Δημήτριος αγανάκτησε και φώναξε: “Έναν πρεσβευτή έστειλαν σε μένα οι Σπαρτιάτες!” ο πρεσβευτής απάντησε ατάραχος: “Έναν σε έναν”.
Από τους παλαιούς, επίσης, θαυμάζονται οι ολιγόλογοι, και στο ιερό του Πυθίου Απόλλωνος οι Αμφικτύονες έγραψαν όχι την “Ιλιάδα” και την “Οδύσσεια” ούτε τους παιάνες του Πίνδαρου αλλά το “Γνώθι σαυτόν”, το “Μηδέν άγαν” και το “Εγγύα πάρα δ’ άτα”, θαυμάζοντας την πυκνότητα και τη λιτότητα της έκφρασης που περιέχει μέσα στη βραχυλογία ένα καλά σφυρηλατημένο νόημα.
Μήπως δεν αγαπάει και ο θεός ο ίδιος την περιεκτικότητα και τη συντομία στους χρησμούς του και δεν ονομάζεται Λοξίας επειδή αποφεύγει περισσότερο την πολυλογία απ’ ό,τι την ασάφεια;
Δεν θαυμάζονται και επαινούνται εξαιρετικά όσοι εκφράζονται συμβολικά, χωρίς να μιλήσουν;
Έτσι ο Ηράκλειτος, όταν οι συμπολίτες του τού ζήτησαν να εκφέρει γνώμη για την ομόνοια, ανέβηκε στο βήμα, πήρε ένα κύπελλο με κρύο νερό, πασπάλισε μέσα κρίθινο αλεύρι, το ανακάτεψε με φλισκούνι, το ήπιε κι έφυγε, δείχνοντάς τους έτσι πως το ν’ αρκούνται σ’ αυτό που τους βρίσκεται και το να μη χρειάζονται πολυτέλειες διατηρεί τις πόλεις σε ομόνοια και ειρήνη.
Ο Σκίλουρος, ο βασιλιάς των Σκυθών, άφησε πίσω του ογδόντα γιους· όταν πέθαινε πρόσταξε να του φέρουν δέσμη δοράτων και ζήτησε από τους γιους του να τα πάρουν και να τα σπάσουν έτσι όπως ήταν δεμένα όλα μαζί.
Όταν εκείνοι παραιτήθηκαν από την προσπάθεια, πήρε ο ίδιος ένα ένα τα δόρατα και τα έσπασε εύκολα στα δύο, δείχνοντάς τους έτσι ότι η ενότητα και η ομόνοιά τους ήταν ισχυρό και ανίκητο πράγμα, ενώ η διάσπασή τους ασθενές και ασταθές.

ΗΘΙΚΑ

Chiunque, dunque, si erga contro Eros come un pugile per combattere, è solo un pazzo, perfino sugli dèi, infatti, domina a suo piacimento.Ἔρωτι μέν νυν ὅστις ἀντανίσταταιπύκτης ὅπως ἐς χεῖρας, οὐ καλῶς φρονεῖ·οὗτος γὰρ ἄρχει καὶ θεῶν ὅπως θέλει.

Ἔρωτι μέν νυν ὅστις ἀντανίσταται
πύκτης ὅπως ἐς χεῖρας, οὐ καλῶς φρονεῖ·
οὗτος γὰρ ἄρχει καὶ θεῶν ὅπως θέλει.

Sophocles, Trachiniae, 441

Il COSMO è un palcoscenico….

Il Cosmo è un palcoscenico e la vita è un passaggio sulla scena di questo placo: 
entri , guardi ed esci.
il Cosmo è mutamento , la vita è un opinione che si adegua. 
Δημόκριτος Democrito frammento 115

Duello ancestrale indoeuropeo

”L’eroe si definisce come essere solitario, inesorabilmente votato allo scontro individuale, alla singolare tenzone, una verifica che affronta sotto un impulso irresistibile e che sublima, per così dire, nel momento supremo del duello contro un suo pari; duello in preda a una sorta di estatica ebrezza che estrania da sé il protagonista ….”

”Questa seconda anima è il prodotto del menos μένος l’ardore ispirato da un dio e si traduce in lyssa Λύσσα la furia guerriera.
Tale connotato è noto è noto a molte tra le culture antiche, soprattutto nella loro fase primitiva , a cominciare da quelle germanica, che impiega per definirlo, termini quali Freg o Wut.”

”La parola antico nordico da cui deriva il nome Odhinn, Odhr…corrisponde al tedesco Wut ”furore” e al gotico wods ”posseduto” come sostantivo designa sia l’ebrezza, l’eccitazione, il genio poetico(cfr l’anglosassone Woth canto) sia il movimento terribile del mare, del fuoco, del temporale come aggettivo significa violento furioso sia rapido.

Oltre quelli germanici, tutti i termini indoeuropei, che a questi concetti si riferiscono rimandano a una forza ispirata come quella della poesia o alludono all'invasamento profetico: 
il latino,furor,   all'antico iralandese faith, nonchè naturalmente i greci mania μανία e manteia μαντεία.
dono sovrumano non meno della possessione mantica, la mistica follia guerriera diviene dunque , in sè stessa la misura del favore celeste, così da spiegare '' come il combattimento di due eserciti possa essere sostituito da un duello giudiziale, nel quale gli dei indicano la parte che detiene  il diritto

confer  Dumezil Gli dei dei Germani pp.71e 84

Confer Giovanni Brizzi il Guerriero l' oplita e il Legionario pag. 13 

Apoftegma ἀπόφθεγμα detti laconici

ἀπόϕθεγμα, da ἀποϕθέγγομαι “pronuncio” un detto breve e sentenzioso, molto in uso presso gli Spartani, noti per l’arguta brevità delle loro risposte, le loro frasi erano scarse e ridotte all’osso, proprio come oracoli o sentenze.

“Nel corso di una riunione gli fu chiesto se stava zitto perchè era stupido o per mancanza di argomenti; egli rispose: 
«Se fossi stupido, non sarei capace di stare zitto». 
Plutarco – Demarato – Apoftegmi spartani

Amore per la libertà (che in Sparta è indistinguibile dall’amor patrio), essenzialità (che si lega a una marcata repulsione per il fronzolo, l’ornamento), coraggio (specie in ambito marziale), ma anche valori puramente logici o intellettuali, come la compiaciuta allusività, lo stile criptico ma asciutto, al contempo oracolare e apodittico, cui non a caso si usa riferirsi con l’aggettivo “laconico”.

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