ΠΑΛΑΙΣΤΡΑ PALESTRA la dea della Lotta

ΠΑΛΑΙΣΤΡΑ

Ὁ μὲν χῶρος Ἀρκαδία, τὸ κάλλιστον Ἀρκαδίας καὶ ᾧ μάλιστα ὁ Ζεὺς χαίρει—Ὀλυμπίαν αὐτὸ ὀνομάζομεν—ἆθλον δὲ οὔπω πάλης οὐδὲ τοῦ παλαίειν ἔρως, ἀλλ´ ἔσται. Παλαίστρα γὰρ ἡ Ἑρμοῦ ἡβήσασα νῦν ἐν Ἀρκαδίᾳ πάλην εὕρηκε, καὶ ἡ γῆ χαίρει πως τῷ εὑρήματι, ἐπειδὴ σίδηρος μὲν πολεμιστήριος ἔνσπονδος ἀποκείσεται τοῖς ἀνθρώποις, στάδια δὲ ἡδίω στρατοπέδων δόξει καὶ ἀγωνιοῦνται γυμνοί. Τὰ μὲν δὴ παλαίσματα παιδία. Ταυτὶ γὰρ ἀγέρωχα σκιρτᾷ περὶ τὴν Παλαίστραν ἄλλο ἐπ´ ἄλλῳ ἐς αὐτὴν λυγίζοντα, εἴη δ´ ἂν γηγενῆ· φησὶ γὰρ ὑπ´ ἀνδρείας ἡ κόρη μήτ´ ἂν γήμασθαί τῳ ἑκοῦσα μήτ´ ἂν τεκεῖν. Διαπέφυκε δὲ ἀπ´ ἀλλήλων τὰ παλαίσματα· κράτιστον γὰρ τὸ ξυνημμένον τῇ πάλῃ. Τὸ δὲ εἶδος τῆς Παλαίστρας, εἰ μὲν ἐφήβῳ εἰκάζοιτο, κόρη ἔσται, εἰ δὲ εἰς κόρην λαμβάνοιτο, ἔφηβος δόξει. Κόμη τε γὰρ ὅση μηδ´ ἀναπλέκεσθαι ὄμμα τε ἀμφοτέρῳ τῷ ἤθει καὶ ὀφρὺς οἵα καὶ ἐρώντων ὑπερορᾶν καὶ παλαιόντων· φησὶ γὰρ πρὸς ἄμφω τὰ ἔθνη ἐρρῶσθαι μαζῶν τε οὐδ´ ἂν παλαίοντα θιγεῖν τινα· τοσοῦτον αὐτῇ περιεῖναι τῆς τέχνης. Καὶ αὐτοὶ δὲ οἱ μαζοὶ μικρὰ τῆς ὁρμῆς παραφαίνουσιν ὥσπερ ἐν μειρακίῳ ἁπαλῷ, θῆλύ τε ἐπαινεῖ οὐδέν, ὅθεν οὐδὲ λευκώλενος θέλει εἶναι, οὐδὲ τὰς Δρυάδας ἐπαινεῖν ἔοικεν, ὅτι λευκαίνουσιν ἑαυτὰς ἐν ταῖς σκιαῖς, ἀλλὰ τὸν Ἥλιον ἅτε κοίλην Ἀρκαδίαν οἰκοῦσα αἰτεῖ χρῶμα, ὁ δ´ οἷον ἄνθος τι ἐπάγει αὐτῇ καὶ φοινίττει τὴν κόρην μετρίᾳ τῇ εἵλῃ. Καθῆσθαι δέ, ὦ παῖ, τὴν κόρην πάνσοφόν τι τοῦ ζωγράφου· πλεῖσται γὰρ τοῖς καθημένοις αἱ σκιαὶ καὶ τὸ καθῆσθαι αὐτῇ ἱκανῶς εὔσχημον, πράττει δὲ τοῦτο καὶ ὁ θαλλὸς τῆς ἐλαίας ἐν γυμνῷ τῷ κόλπῳ. Ἀσπάζεται δέ που τὸ φυτὸν τοῦτο ἡ Παλαίστρα, ἐπειδὴ πάλῃ τε ἀρήγει καὶ χαίρουσιν αὐτῷ πάνυ ἄνθρωποι.

Abbiamo davanti agli occhi il luogo più bello dell’Arcadia, quello che ha le preferenze di Giove, la piana di Olimpia; lì gli uomini ancora non combattono, non conoscono ancora la passione della lotta, ma questo momento è vicino. Perché Palestra, la figlia di Hermes, è già nel fiore degli anni; ha già inventato la lotta, e la terra si rallegra di questa scoperta che, ponendo tregua alle liti degli uomini, li obbligherà a deporre il ferro bellicoso, che farà loro dimenticare gli accampamenti per gli stadi dove almeno combatteranno nudo. Questi bambini sono le diverse figure della lotta: saltano infatti con petulanza intorno a Palestra e, seguendone le leggi, piegano il corpo in mille posizioni diverse (a); diremmo nati dalla terra, perché la vergine mostra chiaramente col suo aspetto virile che non si sottometterà volentieri al giogo del matrimonio e che non avrà figli. Inoltre queste figure del combattimento sono molto diverse tra loro (b): la migliore è quella che ricorda la boxe (c). Quanto all’aspetto di Palestra, sembrerà una fanciulla se la paragoniamo a un giovane, e un giovane se il pensiero rappresenta una fanciulla. I suoi capelli sono troppo corti per essere raccolti; il suo sguardo 497 non designa un sesso più dell’altro; il suo sopracciglio testimonia il suo disprezzo per gli amanti e anche per i lottatori; sembra dire che si sente forte contro tutti e che nessuno può toccarle il seno mentre combatte, poiché eccelle nella sua arte. Il suo petto, simile a quello di un’adolescente, offre seni appena formati; inoltre non ha nessuno dei gusti femminili; non vuole avere le braccia di un bianco abbagliante; certo non approva le Driadi che, per essere bianche, cercano l’ombra; abitante delle profonde valli dell’Arcadia, chiede al sole il favore di un incarnato abbronzato e il sole colora la giovane di un bagliore leggermente rossastro (d). Palestra è seduta, e questa, figlia mia, è un’idea molto felice della pittrice, perché le ombre così proiettate dal corpo sono più numerose, e questo è d’altronde un atteggiamento che non le è necessariamente di cattiva grazia. Fa bene anche questo ramoscello d’ulivo che Palestra si stringe al seno; la dea ama questa pianta che dona ai combattenti l’olio essenziale ed è la delizia degli uomini.

“Gli esercizi ginnici”, dice Filostrato (1), “si dividono in due specie, quelli che richiedono agilità, come lo stadio, la doliche o corsa lunga, la corsa armata, il doppio stadio, il salto; e quelli che richiedono forza, come il pancrazio, la lotta, il pugilato. » La palestra è, in senso stretto, il luogo dove gli atleti si impegnano in questi ultimi esercizi, e la dea della palestra è la dea dei lottatori e dei pugili. Filostrato è l’unico che cita questa divinità, ma l’arte che ha creato tanti esseri allegorici come Paura, Inseguimento, Impudenza, Opportunità, Indulgenza, non deve aver esitato a personificare lo scenario. In Stazio è una divinità che fa scorrere l’olio sulle sue membra (2); perché il pittore non l’avrebbe rappresentata con un ramoscello d’ulivo in mano? Quanto ai piccoli spiriti che personificano le diverse figure della lotta, sono fratelli di questo Agon (3) che, stando accanto ad Ares, ad Olimpia, rappresentava il combattimento bellicoso; e di quest’altro, che teneva in mano dei manubri, rappresentava l’esercizio del salto. Non è raro, inoltre, incontrare bambini che giocano, lottano, corrono in opere d’arte, e che possono essere presi per i geni della corsa, della lotta o di questo o quel gioco.

Secondo il suo nome, la Palestra doveva essere una donna; per la natura degli esercizi ai quali presiede doveva avere un aspetto virile. Da qui questo sforzo dell’artista di unire grazia e forza nello stesso personaggio; sappiamo 498 inoltre che questi esseri, partecipando di una duplice natura, hanno un fascino particolare; ancor più che una figura ideale di eroe o di eroina, sembrano discostarsi dalla realtà; alle bellezze che prendono in prestito da sessi diversi, aggiungono una grazia in più, una grazia strana, risultante dalla fusione di due elementi contrari. Talvolta, come nel centauro, il contrasto resta totale; sarebbe scioccante se l’arte non gestisse abilmente la transizione tra una groppa che non ha nulla dell’uomo e un busto che non ha nulla del cavallo; talvolta, come nell’ermafrodita, la transizione è ovunque, ma il contrasto, benché localizzato, è così marcato da sembrare brutale.

in certe figure, come le Amazzoni, come Atena, come Artemide, come la stessa nostra Palestra, c’è ancora un contrasto, ma un contrasto che risulta più dall’accentuazione che dall’alterazione di certe forme, contrasto che non sembra pertinente. opposizione alle leggi della natura, contrasto che sembra ordinato dalla natura stessa dei personaggi rappresentati e che, per questo, si risolve francamente in un accordo per la mente. Non è inutile, inoltre, sottolineare che Palestra non presenta, come riteneva un critico, i seni atrofizzati o rudimentali, che avrebbero presentato agli occhi un’immagine sgraziata. È una giovane ragazza nel fiore degli anni; in quanto tale e anche perché nella sua veste di palestra è meno donna che un’altra dea, ha i seni poco sviluppati. Brunn la paragona, non senza ragione, ad una statua del Museo Pio Clementino (4), che rappresenta una giovane fanciulla che corre; la struttura del torace, le ossa e i muscoli, dice, annunciano forza, ma la convessità dei seni è marcata solo discretamente; questa statua ha inoltre altri caratteri in comune con Palestra; se i capelli cadono indietro sulle spalle, sono, come quelli dei lottatori e dei corridori, molto corti sulla fronte. Palestra, disse Filostrato, le premette un ramoscello d’ulivo sul petto. Il relatore spiega questo attributo dicendo che l’olivo fornisce servizi ai lottatori.
Brunn preferisce credere che l’olivo rappresenti il ​​prezzo della vittoria. Siamo tentati di dare ragione al sofista contro il dotto archeologo. Sui monumenti che rappresentano lotte, la Pedotribe o qualsiasi altro personaggio porta spesso un ramo di palma; si tratta infatti di un premio riservato ai vincitori, la foglia di palma non può essere utilizzata per nessun altro scopo. Gli antichi parlano bene delle corone di ulivo assegnate ai 500 vincitori delle Olimpiadi (5), ma quasi sempre l’idea della lotta e dello scenario è legata nella loro mente al ricordo dell’olio con cui venivano unti. i lottatori. La lotta è chiamata da Stace uncta impallidisce. In Teocrito Delfi deve scaturire dalla ricca palestra (6): in Ovidio (7), la splendente palestra è l’esercizio caro alla gioventù. Comunque sia, un attributo che può essere spiegato in modo abbastanza plausibile in due modi non può essere spostato; non c’è quindi motivo di rimproverare alla Palestra, come fa Friederichs, di non tenere in mano lo strigile o il vaso d’olio dei lottatori.

È un peccato che Filostrato non abbia descritto gli atteggiamenti dei geni che si scatenavano intorno a Palestra. I monumenti antichi che rappresentano uomini o bambini in difficoltà possono in una certa misura compensare questo silenzio. A volte i due avversari tendono le braccia l’uno verso l’altro e sembrano volersi toccare solo con le dita; è il preludio al combattimento (8). A volte inizia la lotta: uno degli atleti ha la mano dietro il collo dell’avversario che si piega sotto la presa (9); talvolta uno dei lottatori costringe l’altro a mettere entrambe le ginocchia a terra, lo prende per il collo e lo stringe per soffocarlo (10); talvolta il più abile riesce ad afferrare il piede o la gamba dell’avversario facendogli così perdere l’equilibrio (11); talvolta, afferrato per la metà del corpo, sollevato da terra e girando su se stesso, lo sconfitto colpirà il suolo della terra, a meno che il vincitore non si inginocchi, come per metterlo a terra e fargli toccare la terra delle spalle ( 12); talvolta i due giostratori si intrecciano, e l’uno grava tutto il suo peso sul corpo dell’altro che viene abbattuto e minaccia ancora con il pugno (13). Queste sono le principali figure della lotta; ma quanti altri erano ancora classificati, avevano il loro nome, senza contare quelli che potevano nascere dalle probabilità del combattimento e dalla duttilità dei combattenti (14)! Per tornare alla nostra tavola, i geni che circondavano Palestra non erano senza dubbio né numerosi né raggruppati in tante deformazioni, perché Filostrato suppone che riproducessero queste figure una dopo l’altra. Non ci sarebbe stato motivo di fare una simile supposizione se ciascuna figura della lotta fosse stata rappresentata da una coppia di geni combattenti. L’artista si era indubbiamente schierato dalla parte dell’autore di un bassorilievo conservato nella Galleria di Firenze (15). Sulla destra della composizione, due amori preludono al combattimento: altri due, posti a sinistra, preludono la scazzottata; 501 raggruppato con ciascuna di queste coppie, un terzo amore, che tiene una palma in mano, sembra agire come un pedotribù. Al centro, un amorino in piedi alza la mano verso la corona che ha già ricevuto come vincitore, l’avversario sconfitto si alza su un braccio; a destra e a sinistra di questo gruppo, due amorini, uno che porta una foglia di palma, l’altro che suona una tromba, formano un pendente. In questo bassorilievo sono stati evitati tutti gli atteggiamenti violenti. Il wrestling è disponibile solo in due forme, il wrestling vero e proprio e la boxe; e per questi due esercizi l’artista non ci mostra che una figura, per così dire, quella iniziale, la meno dotta e la meno complicata. Per la composizione avvicineremmo volentieri il nostro dipinto al bassorilievo: la Palestra prenderebbe il posto del gruppo centrale; due o tre coppie di amori, raggruppate in atteggiamenti più o meno semplici, avrebbero rappresentato in sé le innumerevoli palahmata o figure della lotta.

(1) Sulla ginnastica, tradotto. Ina minoide, pag. 62 (testo, c. IV).

(2) San Th., VI, 827.

(3) Pausania, V, 20, 3; V, 26, 3.

(4) Mus. Pio Cl., III, 27. Cfr. Krause, Die Gymnast. e Agon. der Hellenen, pl. VII, f 15,

(5) Plinio, XV, 5.

(6) Id., 2, 51.

(7) Met., VI, 41.

(8) Hamilton, vasi antichi (di Tischbein), IV, 44; Krause, Die Gymn., pl. X, n. 28.

(9) Clarac, H, 228; Krause, Die Gymn.9 X, 26 bis.

(10) Gal. de Flor., II, 23, 3; Krause, XI, 32.

(11) Krause, 39 e 40; Mio. dell lnst.91,22. Vedi anche Krause, f. 38.

(12) Krause, D.G., XI, f. 35 bis, 31 bis, 39c.

(13) Krause, f. 30, 31, 31a.

(14) Cfr. Pollux, III, 155 e le spiegazioni di Krause, Gym. Lui, Ag.,l, p. 415 e segg.

(15) Gal. di Firenze, ser. IV, vol. III, t. 120; Mull, Wies. D.d. ha. K.Taf. LII, n.653.


Come il fuoco sprigiona a migliaia le infuocate scintille….

Mo Kalache Sol Vir

Mundaka Upanishad 

La Mundaka Up., che appartiene all’Atharvaveda, è una delle Upanisad più celebrate e commentate nell’India.
Il titolo sembra significare che essa si rivolge a un ordine di asceti che seguivano il voto della «rasatura» del capo; ma potrebbe pure alludere all’effetto dell’insegnamento in essa impartito, che è tale da «radere», ossia distruggere, l’errore.
La conoscenza dell’identità tra Atman e Brahman, che si raggiunge quando si sia purificato l’animo per mezzo dell’ascesi e della condotta moralmente pura, conferisce la liberazione dal ciclo delle esistenze, l’assorbimento e, a quanto sembra, la dissoluzione nell’Assoluto; il rito e il sacrificio, in quanto ancorati alle cose terrene, permettono soltanto una felicità transitoria. L’Assoluto è l’origine di tutto. si muove nell’intimo di ognuno, ma tutto trascende ed è il traguardo da raggiungere [chiamato BrahmanAtmanPurusa («spirito universale») e Tat; ma non c’è equivalenza completa fra i termini, se è vero che il Purusa in 3, 1, 3 è detto matrice del Brahman. Frequenti sono i contatti e le derivazioni da altre Upanisad, cosicché la Mund. Up. deve essere considerata tra le più recenti delle Upanisad vediche.


PRIMO KHANDA
1. Brahma fu il primo degli dei. Creatore dell’universo, protettore del mondo, egli espose la scienza del Brahman, fondamento d’ogni altra scienza, al figlio maggiore Atharvan.
2. La scienza del Brahman, che Brahma aveva rivelato ad Atharvan, Atharvan a sua volta l’espose ad Angir, questi a Bharadvaja Satyavaha, Bharadvaja ad Angiras, sia la superiore, sia l’inferiore.
3. Saunaka, possessore di grandi ricchezze, avvicinatosi secondo il dovuto ad Angiras, gli chiese:
«O signore, qual è la cosa che, conosciuta, permette di conoscere tutto?».
4. A lui quegli rispose: I conoscitori del Brahman dicono che bisogna conoscere due scienze, la superiore e l’inferiore.
5. «Di esse l’inferiore è costituita dal Rgveda, dal Yajurveda, dal Samaveda, dall’Atharvaveda, dalla fonetica, dalla ritualistica, dalla grammatica, dall’etimologia, dalla metrica, dall’astronomia.
La [scienza] superiore è quella per mezzo della quale si raggiunge l’Indistruttibile».
6. «Invisibile, inafferrabile, senza famiglia né casta, senza occhi né orecchie, senza mani né piedi, eterno, onnipresente, onnipervadente, sottilissimo, non soggetto a deterioramento, Esso è ciò che i saggi considerano matrice di tutto il creato».
7. «Come il ragno emette [il filo] e lo riassorbe, come sulla terra crescono le erbe, come da un uomo vivo nascono i capelli e i peli, così dall’Indistruttibile si genera il tutto».
8. «Il Brahman si forma per mezzo dell’ascesi, da esso nasce l’alimento, dall’alimento il respiro vitale, la mente, la verità, i mondi e ciò ch’è immortale nelle azioni».
9. «Da colui che tutto conosce, che sa tutto, per il quale l’ascesi è costituita dalla conoscenza, da costui nasce questo Brahman, ossia l’individualità e l’alimento».

SECONDO KHANDA
Questa è la verità:
1. Le azioni sacrificali, che i poeti videro [e descrissero] nelle raccolte degli inni sacri, sono state ripetutamente realizzate dinanzi ai tre [fuochi del sacrificio]. Effettuatele sempre, voi che bramate il vero: questa è la via che vi condurrà al mondo [che si conquista] con le opere buone.
2. Quando la fiamma balena, essendo stato acceso il fuoco sacrificale, allora in mezzo alle due porzioni di burro liquefatto bisogna gettare le offerte [del sacrificio].
3. Se uno compie l’agnihotra senza accompagnarlo con i riti del novilunio e del plenilunio, [del giorno iniziale] delle tre stagioni, dell’offerta dei primi raccolti, senza [tributare le dovute onoranze agli] ospiti, oppure se non lo compie, o non lo dedica a tutti gli dei, o non lo compie secondo le regole, per costui [le manchevolezze riscontrate] distruggono tutti i mondi fino al settimo
4. La Nera, la Terribile, la Rapida come il pensiero, la Tutta rossa, la Tutta fumosa, la Scintillante e la Divina tutta splendente, queste sono le sette lingue balenanti [del fuoco sacro].
5. Se uno compie il sacrificio quando queste scintillano, porgendo le offerte sacrificali al tempo dovuto, esse, [come] raggi di sole, lo conducono dove risiede l’unico signore degli dei.
6. Dicendogli «Vieni! vieni!», le risplendenti offerte scortano il sacrificatore su per i raggi del sole, rivolgendogli parole gentili e onorandolo: «Questo è il mondo del Brahman, puro e perfetto, a te [riservato]».
7. [Simili a] instabili barche sono le diciotto forme di sacrificio nelle quali s’esprime l’opera inferiore (l’atto rituale). Gli sciocchi che considerano questa come il sommo bene, ricadono nella vecchiezza e nella morte.
8. Trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli sciocchi s’aggirano urtandosi a vicenda, come ciechi guidati da un cieco.
9. Variamente immersi nell’ignoranza, puerilmente essi pensano: «Abbiamo raggiunto il nostro scopo!». Legati all’azione, oppressi da ciò che non comprendono a causa della passione, una volta che hanno esaurito [il frutto dell’azione e] il mondo [che quella ha determinato], precipitano [di nuovo nel samsara].
10. Convinti che il sacrificio e le azioni meritorie siano il meglio, quegli sciocchi non conoscono null’altro di superiore. Dopo aver goduto sulla cima dell’universo del loro buon agire, cadono in questo mondo o [anche] in uno più basso.
11. Coloro invece che nella foresta sono dediti all’ascesi e alla fede, sereni, saggi, vivendo d’elemosina, puri, attraverso la porta del sole giungono là dove sta lo Spirito Universale, l’immortale, l’immutabile Atman.
12. Un brahmano, considerando che [l’acquisizione dei] mondi [ultraterreni] è fondata sull’azione, può essere preso dalla disperazione al pensiero che ciò che è increato non può discendere da ciò che è creato. Per aver la conoscenza, allora, deve rivolgersi, con il combustibile in mano [come un alunno], a un maestro, esperto delle dottrine sacre, assorto nel Brahman.
13. S’avvicina a lui con rispetto, con lo spirito placato, del tutto sereno, e il saggio a lui rivela secondo verità questa scienza del Brahman, per la quale giunge a comprendere l’indistruttibile Spirito Universale, la verità.

SECONDO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
Ecco la verità:
1. Come da un fuoco ben acceso a migliaia si dipartono scintille che hanno la stessa natura, così dall’Indistruttibile, o caro, diverse creature nascono e in esso poi ritornano.
2. Divino, incorporeo è lo Spirito Universale; esso comprende ciò che è esteriore e ciò che è interiore, è innato. Senza respiro, senza intelletto, puro, è superiore all’Indistruttibile, che a sua volta tutto trascende.
3. Da Lui nascono il respiro vitale, l’intelletto e tutti gli organi dei sensi, l’etere, il vento, la luce, le acque, la terra, sostegno di tutto.
4. Il fuoco è la [sua] testa, la luna e il sole sono i [suoi] occhi, i punti cardinali sono le [sue] orecchie, i Veda rivelati son la [sua] voce, il vento il [suo] respiro, il mondo è il [suo] cuore, la terra [procede] dai [suoi] piedi, egli è l’anima interiore di tutte le cose create.
5. Da Lui [proviene] il fuoco, per il quale il sole costituisce il combustibile, dalla luna [vien] la pioggia, [dalla pioggia nascono] le piante sulla terra, quindi il maschio versa il seme nella femmina: dallo Spirito Universale sono state generate molte creature
6. Da Lui [derivano] gli inni, la melodia, le formule sacrificali, l’iniziazione, i sacrifici, tutti i riti e le offerte sacrificali, l’anno, il sacrificatore e i mondi dove brilla la luna e dove brilla il sole.
7. Da Lui sono stati in varia guisa generati gli dei, gli esseri celesti, gli uomini, le bestie, gli uccelli, il prana e l’apana, il riso e l’orzo, l’ascesi, la fede, la verità, la castità e le regole.
8. Da Lui derivano i sette prana, le sette fiamme, il combustibile, le sette oblazioni, i sette mondi dove si muovono i prana, che stanno nell’intimo [d’ognuno] disposti a sette a sette
9. Da Lui [procedono] gli oceani e tutte le montagne, originati da Lui scorrono i fiumi d’ogni tipo, da Lui [provengono] tutte le piante e la linfa vitale, cosicché può dirsi che Egli, come anima interiore, dimora in ogni creatura.
10. Lo Spirito Universale è l’universo: azione, ascesi, Brahman, immortalità suprema. Colui che lo riconosce riposto nel profondo [del cuore], costui quaggiù scioglie i nodi dell’ignoranza, o caro.

SECONDO KHANDA
1. Il rifugio supremo (ossia il Brahman) s’è manifestato, esso che porta il nome di  «moventesi nel profondo». Ciò che si muove e respira e palpita negli occhi in Esso è fissato. Sappiate che Esso è migliore dell’Essere e del non Essere, che è superiore alla conoscenza, che è il meglio per le creature.
2. Esso è fulgente, più sottile del sottile, in Esso risiedono i mondi e i loro abitanti, Esso è l’indistruttibile Brahman, è il respiro, la parola, l’intelletto, Esso è la verità, l’immortale. Sappi, o caro, che Esso è il [bersaglio] da colpire.
3. Avendo preso per arco la grande arma costituita dalle Upanisad, e avendola tirata con la mente che è giunta a [comprendere] la natura del Tat, s’incocchi la freccia acuita dalla meditazione. Sappi che questo eterno è il [bersaglio] da colpire, o caro.
4. Si dice che la sillaba Om è l’arco l’Atman è la freccia, il Brahman è il traguardo. Senza distrazioni, questo bisogna colpire. Come la freccia [s’immedesima nel bersaglio, in egual modo] l’uomo otterrà l’identità con il Tat.
5. In Esso sono tessuti il cielo, la terra e l’atmosfera, la mente insieme con tutti gli organi di senso: riconoscetelo come l’Atman unico-esistente. Lasciate ogni altro discorso. Questo è il ponte dell’immortalità.
6. In Esso, come i raggi nel mozzo della ruota, si congiungono le arterie; Esso si muove [celato] all’interno, pur manifestandosi in varie guise. Meditate sull’Atman, considerandolo come la sillaba Om. La fortuna vi assista nel passaggio al di là delle tenebre.
7. Colui che tutto conosce, tutto sa, del quale sulla terra si contempla la grandezza, questo Atman è fisso nel firmamento, nella celeste cittadella del Brahman
8. Esso è fatto di pensiero, regge lo spirito vitale e il corpo, risiede nell’alimento. Controllando il cuore i saggi lo contemplano per mezzo della conoscenza, Esso che risplende immortale, costituito di felicità.
9. Si spezza il nodo del cuore, si sciolgono tutti i dubbi, si dissolvono tutte le azioni quando si riconosce il [Brahman nelle sue due forme] superiore e inferiore.
10. Dietro un aureo sublime velo risiede il Brahman puro, indiviso, brillante, luce delle luci: Esso è quello che conobbero i conoscitori dell’Atman.”
11. Là non riluce il sole, non la luna e le stelle, non brillano i lampi, per non parlar del fuoco; tutto l’universo risplende se Esso risplende, tutto questo universo brilla della sua luce
12. Questo è il Brahman immortale. Il Brahman si distende a oriente e a occidente, a Sud e a Nord, in alto e in basso. Il Brahman è il Tutto, è l’ottimo.

TERZO MUNDAKA
PRIMO KHANDA
1. Due alati, stretti amici, sono attaccati allo stesso albero. L’un d’essi mangia i dolci fichi, l’altro senza mangiare guarda attentamente.
2. Su un albero eguale lo spirito individuale, imprigionato, soffre, accecato dalla sua impotenza; quando vede l’altro, il signore sovrano nella sua soddisfazione e nella sua maestà, è libero dal dolore.
3. Quando il meditante distingue l’aureo creatore, il sovrano, lo Spirito Universale, che è matrice del Brahman, allora, raggiunta la conoscenza, dopo essersi liberato del bene e del male, senza macchia, raggiunge l’identità suprema.
4. Esso è il soffio vitale che risplende in tutte le creature. Colui che comprende, colui che conosce, non parla senza criterio. Si compiace dell’Atman, gode dell’Atman, e, pur compiendo le azioni sacrificali, diventa il migliore dei conoscitori del Brahman.
5. Con la verità, con l’ascesi, con la retta conoscenza, con la castità continua è possibile [cercare di] ottenere questo Atman. Costituito di luce, puro, Esso abita dentro il corpo. Gli asceti lo contemplano quando hanno cancellato le loro colpe.
6. La verità vince, non la menzogna; attraverso la verità passa la via che porta al mondo degli dei. Lungo di essa i veggenti che hanno realizzato i loro desideri giungono là dove si trova il Tat, la suprema dimora della verità.
7. Il Tat risplende, grande, divino, inconcepibile nella sua forma, più sottile del sottile; lontanissimo, distante, Esso è pur qui vicino sulla terra, nascosto nell’intimo [del cuore] per coloro che [rettamente] vedono.
8. Non è possibile raggiungerlo con l’occhio, né con le parole, né con gli altri organi dei sensi, o con l’ascesi o con l’azione sacrificale. Chi ha l’animo puro per la luce della conoscenza lo vede nella sua interezza quando medita.
9. Questo Atman sottile può essere conosciuto [soltanto] con il pensiero, nel quale il respiro è penetrato con le sue cinque forme: tutto il pensiero delle creature è [infatti] intessuto con i soffi vitali Quando [il pensiero] è purificato, risplende allora l’Atman.
10. Qualsiasi mondo con la mente si formi, qualsiasi desiderio concepisca, chi ha l’animo puro tale mondo conquista e tale desiderio. Chi desidera la felicità onori dunque il conoscitore dell’Atman

SECONDO KHANDA
1. Costui (il conoscitore dell’Atman) conosce la sede suprema del Brahman: fondato su di esso l’intero universo rifulge, puro. I saggi, che, privi di desideri, venerano lo Spirito Universale, passano oltre [ogni] impurità.
2. Colui che nella mente concepisce desideri, costui rinasce ora qui ora là secondo i desideri. Per chi ha placato i desideri e si è preparato interiormente, già qui in terra tutti i desideri si dissolvono.
3. Non è possibile raggiungere l’Atman con l’insegnamento, e neppure con l’intelletto né con molta dottrina. Lo può ottenere soltanto colui che Esso trasceglie; a costui l’Atman medesimo rivela la propria essenza
4. L’Atman non può essere raggiunto da chi non ha forza, e neppure attraverso la distrazione o un’ascesi irregolare. Soltanto l’animo di colui che, saggio, si sforza con i mezzi [adatti], entra nella dimora del Brahman.
5. Avendolo ottenuto, i veggenti che sono soddisfatti della conoscenza, che si sono preparati interiormente, privi di passioni, placati, avendo ottenuto in ogni dove colui che dappertutto penetra, saggi, con lo spirito raccolto, penetrano nel Tutto.
6. Coloro che hanno come scopo ben determinato la conoscenza del Vedanta, gli asceti che si son purificati praticando la rinuncia, tutti costoro, al momento supremo, del tutto immortali, son liberi nei mondi del Brahman.
7. Le quindici parti [della natura umana] ritornano ai loro fondamenti tutti i sensi ritornano agli elementi cosmici corrispondenti. Le azioni e il sé costituito di conoscenza, tutti s’unificano nel principio supremo indistruttibile.
8. Come i fiumi che scorrono si dissolvono nell’oceano perdendo la loro individualità, così il saggio, liberato dall’individualità, s’immerge nel divino Spirito Universale, più alto della cosa più alta.
9. Colui che conosce questo supremo Brahman diventa il Brahman, e nella sua stirpe non nasce chi non conosca il Brahman. Supera il dolore, supera il male, libero dai legami interiori diventa immortale.
10. Ciò è stato dichiarato nel verso sacro: “Coloro che compiono i riti sacri, esperti nei Veda, devoti al Brahman, che, pieni di fede, se stessi sacrificano all’Unico veggente, a costoro, dopo che abbiano secondo il rito praticato il voto [della rasatura] del capo, deve essere insegnata questa scienza del Brahman”.
11. Questa è la verità che un dì proclamò il veggente Angiras. Chi non ha compiuto il sacro voto non può apprenderla. Onore ai sommi veggenti, onore ai sommi veggenti!


 Esistono due scienze, l’inferiore, costituita dai testi sacri e dalla pratica dei riti, e la superiore. Soltanto quest’ultima permette di raggiungere il Brahman, dal quale si genera e nel quale si ricongiunge tutto il creato, in un circolo senza fine: infatti – dice l’Upanisad anticipando le conclusioni – il Brahman si genera dall’ascesi, che è uguale alla conoscenza, e l’ascesi a sua volta si genera dal Brahman individuato, ossia dall’Assoluto che è presente nell’interiorità umana. 
 È questa una delle più antiche enumerazioni dei Vedanga, “”membri del Veda””, e sottolinea la derivazione delle varie scienze dalla considerazione del sacrificio.” 
 Il rito e il culto, rettamente eseguiti, permettono di raggiungere un’esistenza elevata e felice, ma pur sempre transitoria: l’increato non può raggiungersi partendo da ciò che è stato creato. Soltanto il ricorso a un maestro spirituale potrà consentire di superare il mondo con tutte le sue contingenze di bene e di male. Assai brusco è il passaggio dall’esaltazione del sacrificio alla svalutazione del medesimo (str. 7); ma le Upanisad sono opera di poeti e di mistici, i quali procedono per illuminazioni improvvise, per accenni, per antifrasi, non seguono un filo rigoroso di ragionamento. 
 I tre fuochi, garhapatya, ahavaniya e daksina, sono posti rispettivamente a occidente, a oriente e a meridione del luogo del sacrificio, e simboleggiano il sole, la terra, la luna. 
 Secondo una diffusa tradizione i mondi terreni e celesti sono sette. 
 18 è un numero tradizionalmente sacro; qui indica tutte le forme del sacrificio. 
 In questa strofe sono enumerate brevemente le tappe della dottrina dei cinque fuochi.
Vedi Ch.Up., 5, 3-10. 
 Secondo Sankara i sette prana sono gli organi dei sensi nella testa (occhi, orecchie, narici, bocca); le sette fiamme sono prodotte dall’attività di quegli organi; il combustibile è costituito dal complesso degli oggetti dei sensi; le oblazioni sono le percezioni di questi oggetti; i sette mondi infine si formano come risultato della percezione. 
Il battito delle palpebre è caratteristico dei mortali; gli dei hanno l’occhio fisso. 
 La meditazione sulla sillaba Om, simbolo dell’Assoluto, è il fulcro dell’insegnamento delle Upanisad. 
 
 I due uccelli rappresentano uno l’individuo ancor rivolto ai godimenti, l’altro l’asceta che è giunto alla contemplazione del Brahman. Cfr. Svet. Up., 4, 6-7. 
 La contraddizione con la str. 5 è evidente; ma, se l’ascesi è indispensabile premessa, il riconoscimento dell’identità Atman-Brahman supera ogni piano umano, rivelandosi come un’illuminazione mistica che nulla ha a che fare con la morale o la ragione. 
Le forze vitali si riassumono nel pensiero, che, pur da quelle sostenuto, ne è in certo modo l’espressione più alta. Quindi purificare il pensiero significa purificare completamente l’individuo. 
Come ad es. in Ch.Up., 8, 2, lo, anche qui alla raggiunta conoscenza viene attribuito un valore pratico: residuo dell’antica concezione che attribuisce alla verità e alla conoscenza il carattere magico di forza operante di per sé, o, forse meglio, indizio d’un attaccamento alla vita che l’idealismo prevalente non riesce del tutto ad annullare. 
 Non può prescindersi dalla condotta pura, come più volte è stato ripetuto; ma al Brahman giungono soltanto gli eletti dal Brahman stesso. In questa affermazione è da vedersi il primo spunto della posteriore dottrina della grazia divina salvatrice del devoto fedele. Cfr. Kath. Up., 1, 2, 23. 

緣分 Yuanfen sincronicità, fato, coincidenza fatidica…

 “coincidenza fatidica” , sincronicità , “fato” o “destino” è mìngyùn 命運, “il corso degli eventi nella vita”, “Occasione affine” 
十年修得同船渡,百年修得共枕眠 dieci anni di meditazione (o buone azioni) portano due persone per attraversare un fiume nello stesso traghetto, e un centinaio di anni di meditazione (o buone azioni) a portare due persone a riposare la testa sullo stesso cuscino.

百世修来同船渡,千载修得共枕眠

Ci vogliono centinaia di rinascite per portare due persone a salire sulla stessa barca; ci vuole un migliaio di eoni per portare due persone a condividere lo stesso cuscino

qui letteralmente vuol dire perfezionarsi, mettersi a posto, riparare ai danni karmici in molti cicli di vita-morte-rinascita (per i buddisti) o un lunghissimo perfezionamento della propria essenza spirituale (per i taoisti)

Ora sento come deve esser morto Rimbaud!

“Ho sentito quest’impressione oggi: che ogni cosa rinchiudeva in sé quasi un etere, un’ombra che ne seguisse la forma; e che questi contenuti mistici nei corpi si siano distaccati, e si siano elevati su, leggeri, formando un altro piano e lasciando al basso, intatte, le spoglie oscure. Effettivamente, mi sento come se una grazia mi avesse distaccato ormai dal corpo, dal pensiero, dalla malattia dell’essere. Mi accadono cose inesplicabili e indicibilmente belle. Non ho il coraggio di toccarle, di esprimerle nemmeno a me stesso. Ora sento come deve esser morto Rimbaud! Mi hanno carezzato, e ho dimenticata l’ultima smorfia del tormento e dell’ira. L’oscurità diviene luce. Conosco oggi cosa sia la gioia solare. Benedico tutto quel che ho sofferto”.

(Julius Evola, pagina di diario, 14 luglio 1921 – vd. A. Scarabelli, Vita avventurosa di Julius Evola, Bietti 2024).

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