Divinità arciaca romana, ne fecero menzione molti autori con diverse interpretazioni
Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit in curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies
la festa degli Angeronalia prende il nome da Angerona, il cui sacrificio è compiuto nella curia Acculeia e di cui quel giorno è la festa ufficiale Varrone, nel sesto libro del De lingua Latina
Marco Verrio Flacco nei “Fasti Prenestini”: – Festa pubblica. Divalia. Festa della Dea Angerona, che prese nome dal disagio della fastidiosa angina poichè ella un tempo rivelò un rimedio per essa. Hanno posto la statua di lei con la bocca imbavagliata sull’altare di Volupia, per mettere in guardia la gente a non proferire il nome segreto della città. –
Il nome deriverebbe ab angeronando, ossia dal rivolgersi del sole; Angerona sarebbe stata quindi, una divinità dell’anno nuovo.
La sua festa infatti cadeva appunto nel giorno del solstizio d’inverno. Festo (Epitome, p. 17) e Macrobio (Saturn., I, 10, 9)
“Nel XII giorno (delle calende di gennaio) vi è la festa della diva Angerona, a cui i pontefici fanno un sacrificio nel sacello di Volupia.
Per altri il nome deriverebbe dalla malattia detta angina; la divinità guariva i colpiti da quel morbo, che a lei come supplici si rivolgevano.
La sua immagine era rappresentata con la bocca chiusa, e si venerava sull’ara di Volupia. In un testo frammentario dei celebri Fasti Prenestini, compilati dal grammatico Verrio Flacco, ai tempi dell’imperatore Augusto, Angerona…. ore obligato in ara Volupiae.
Quest’ara si trovava sul lato occidentale del colle Palatino, presso la porta del recinto romuleo che guardava verso il Tevere. Ivi, dinnanzi al simulacro della dea che teneva chiusa la bocca con l’indice della mano destra, nel giorno della sua festa, 21 dicembre, i pontefici immolavano una vittima.
Sia Plinio che Solino, in un più ampio discorso che aveva come tema centrale l’evocatio, scelgono il simulacrum della Dea come simbolo del valore che il silenzio possedeva nella cultura romana, strumento privilegiato per proteggere Roma contro i nemici obligato atque signato, fu interpretata da alcuni autori antichi come dea che intimava il silenzio.
Entrambi inseriscono l’exemplum della raffigurazione della dea trattando lo stesso argomento: la città, per non incorrere nel pericolo di evocatio, rito pubblico romano che consisteva nell’evocare la divinità protettrice della città che si voleva conquistare promettendole asilo a Roma, ci raccontano i due autori, possedeva un secondo nome, tenuto segreto e protetto da un religioso silenzio;
Non alienum videtur inserere hoc loco exemplum religionis antiquae ob hoc maxime silentium institutae. Namque diva Angerona, cui sacrificatur a. d. XII kal. Ian., ore obligato obsignatoque simulacrum habet,
«non mi sembra fuori luogo inserire a questo punto l’esempio di un antico rito religioso istituito proprio per esortare a tale silenzio: la dea Angerona infatti, la cui festa ricorre il 21 dicembre, ha una statua con la bocca chiusa e sigillata
O forse la dea simboleggia la difficoltà del passaggio del solstizio d’inverno, quando il sole, la coscienza, sembra sparire nelle tenebre, in senso iniziatico, il solstizio d’inverno equivale alla Piccola Morte, Morte iniziatica, quando il neofita perdeva le difese della mente esterna morendo al mondo, e prova un senso molto forte di angoscia e di smarrimento.
nota 11 Dino Buzzati i misteri d’Italia, Mondadori
PER UN FILM MANCATO di Cesare Medail, Corriere della Sera 21.11.1997
Appena seduti al «Moustache Café», Castaneda parla di Fellini. «Federico, grande, intelligente, sensibile uomo. Peccato sia morto così giovane, ma mangiava troppo e comprimeva la sua energia. Quella volta a Roma, nel 1984, mi portò in un ristorante dove servivano dodici portate. C’era anche Marcello (Mastroianni): loro mangiarono tutto, io mi spaventai». Castaneda racconta che Fellini voleva fare un film ispirato al mondo di don Juan: «Era affascinato dall’universo dei brujos perché era un visionario. Voleva anche provare per una volta il peyote, ma gli dissi che non era consigliabile: con quel che mangiava, sarebbe stato un disastro». Il film non si fece: Fellini dirà che le visioni di Castaneda lo attiravano e insieme lo turbavano. Ne fece un racconto, uscito a puntate sul «Corriere» nell’86. Nel conversare anglo-ispanico Castaneda infila qualche parola d’italiano e viene fuori un particolare biografico del tutto inedito: «Quando ero giovane, trascorsi un periodo a Milano per studiare arte a Brera: era direttore lo scultore Marino Marini. L’aveva voluto mio nonno materno, siciliano, scultore autodidatta e donnaiolo impenitente. Diceva sempre: la bella Italia, porca miseria…».
Un incontro, un viaggio iniziatico, un film mai fatto, un disegno A TU PER TU CON FELLINI di Alberto Dentice, L’espresso 9 luglio 1998
Federico Fellini era affascinato dal mondo di Castaneda. Quelle storie popolate di brujos dotati di poteri paranormali, riti magici di antiche civiltà e funghi allucinogeni erano parte, per lui, di un immaginario al tempo stesso familiare ed esotico, spaventoso e affascinante. Lo scrittore latino-americano si considerava un grande ammiratore di Fellini. Insomma tra i due covava un’attrazione fatale che prima o poi sarebbe dovuta scattare. E difatti scattò, anche se le cose non andarono come previsto. Fellini sognava di realizzare un film ispirato al mondo di don Juan. Ne aveva parlato con Alberto Grimaldi, il suo produttore. E questi si era dato da fare per propiziare l’incontro.
Nel 1984, dopo molte insistenze, Castaneda arrivò a Roma. «Quella volta», ricordava, «Federico mi portò in un ristorante dove servirono dodici portate. C’era anche Marcello Mastroianni. Loro mangiarono tutto, io mi spaventai a morte: mangiavano troppo».
Durante la cena i due parlarono della possibilità di trasferire in un film una storia ambientata nel mondo magico degli stregoni messicani. Castaneda sembra diffidente. Fellini e il produttore insistono. E così alla fine decidono di darsi un nuovo appuntamento, a Los Angeles, per fare una serie di sopralluoghi nello Yucatan e verificare l’attuabilità del progetto. E così fu. Fellini assieme al figlio di Grimaldi e ad altri quattro amici partì per gli Stati Uniti. Ma a Los Angeles iniziarono i problemi. Castaneda pareva essersi dileguato nel nulla. Fellini cominciò a ricevere misteriose minacce e ad avvertire la presenza di strane entità. Ma pur spaventato decise lo stesso di compiere il sopralluogo. Destinazione Tulum, l’antica città azteca situata sulle sponde dell’Oceano Atlantico. Da quel viaggio, che ben presto prese le pieghe di una inquietante avventura esoterica, Fellini trasse l’idea di una storia per un film, “Viaggio a Tulum”, che non riuscì a realizzare. In compenso Milo Manara ne disegnò una serie di tavole a fumetti. Fra i personaggi si riconoscono Snaporatz (Mastroianni), il giornalista Vincenzo Mollica e, nei panni del cameriere messicano fragorosamente allegro e ridanciano, proprio Carlos Castaneda. Manara assicura che quel disegno, preso di sana pianta dagli story board di Fellini, costituisce il ritratto più verosimile di Castaneda, versione 1984.
1. La versione di Fellini stesso che si concretizzò in una serie di articoli sul Corriere della sera nel 1986 e in un fantastico fumetto di Milo Manara (Viaggio a Tulum), dove Fellini divenne Mastroianni e De Carlo divenne incredibilmente Vincenzo Mollica (sì, proprio lui, il Vincenzone di San Remo). 2. La versione di Andrea de Carlo che raccontò parte della storia nel suo romanzo ‘Yucatan’, sempre nel 1986, dove, mutati i nomi dei protagonisti, descrisse il viaggio nei minimi particolari soprattutto nella sua inconcludenza. 3. La versione di Christina Engelhardt, altra protagonista della storia, uscita di recente, nel libro del 2019, Towards the Moon with Fellini, la più esplicita di tutte.
Le tre versioni concordano sui seguenti fatti: 1. Non appena arrivati a Los Angeles cominciarono ad arrivare a Fellini strane telefonate di ‘Voci’ metalliche, come se fossero sintetizzate elettronicamente. 2. Impaurito dalle telefonate Castaneda scomparve, maledicendo la CIA (cosa c’entri CIA non è dato sapere). 3. Le telefonate davano indicazioni su cose da fare e su dove andare che Fellini decise comunque di seguire anche dopo la fuga di Castaneda. 4. Comparvero tre bellissime ragazze che ebbero anche vari approcci sessuali con i tre italiani. 5. Le ‘Voci’ assegnarono un colore a ogni personaggio. Fellini era il Verde, De Carlo il Blu, Christina il Rosa e così via. Dissero che ciò è molto importante. 6. Il viaggio a Tulum fu intrigante ma apparentemente poco produttivo. Le Voci fecero fare ai protagonisti delle azioni incongrue, tipo suonare strumenti o fare bagni in acque infestate da barracuda, davvero poco comprensibili. Il loro obiettivo sembrava essere quello di far girare un film a Fellini su questa avventura ma senza Castaneda che era considerato un impostore. 7. Il tour finì in nulla e il film non si farà mai. 8. L’amicizia tra Fellini e Andrea de Carlo finì invece al ritorno in Italia quando, nel 1986, De Carlo pubblicò un romanzo sulla loro avventura, Yucatan. I due non si parleranno più per tutta la vita. Vincenzo Mollica interrogato recentemente a tale proposito ha detto di non poter dire il motivo della lite perché vi sono cose che debbono rimanere riservate.
Senza dubbio, il modo migliore di farsi un’idea di cosa successe è partire dal documentario di sintesi ‘Fellini fine mai’ di Eugenio Cappuccio, prodotto per la RAI per il centenario di Fellini, presentato alla mostra di Venezia 2019, è candidato al premio David di Donatello del 2020. Il documentario, incentrato soprattutto sul viaggio a Tulum, racconta molte cose ma ne tiene nascoste ancora di più. Vi è anche riportata una telefonata della famosa ‘Voce’. Cappuccio intervista Cristina Enghelhard, la ragazza-spirituale, quella che ha avuto il ruolo principale nell’avventura, ma si ‘dimentica’ di dire che è stata sua moglie e che, dopo il viaggio a Tulum, era nota coma ‘la ragazza di Fellini’.
L’avventura di Tulum non terminò affatto con il ritorno in Italia. Le voci continuarono a tormentare Fellini anche successivamente, forse per anni, con telefonate anonime. Una di queste telefonate arrivò anche a Tullio Pinelli, il suo sceneggiatore. Ma De Carlo, il colore Blu, abbondantemente stufo della faccenda, pubblicò il suo romanzo in contemporanea con gli articoli di Fellini sul Corriere e uscì dal gioco. Christina, il colore Rosa, seguì Fellini in Italia con cui, a suo dire, ebbe un rapporto speciale anche se non di tipo sessuale. Infatti lei sposò l’assistente di De Carlo nel film Ginger e Fred, cioè l’assistente dell’assistente di Fellini, nel 1988, il suddetto Eugenio Cappuccio. Con lui produsse il documentario Towards the Moon with Fellini, girato sul set dell’ultimo film di Fellini La Voce della Luna, nel quale abbiamo modo di vedere l’autentica Christina nei panni di una reporter americana che intervista Benigni e Villaggio, i protagonisti del film.
Christina Engelhardt
Gli insegnamenti di Don Juan (Milano, Rizzoli, 1999, pubblicato anche con il titolo A scuola dallo stregone (Roma, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini, 1970), descrive soprattutto come usare le ‘piante del potere’, il peyote e la datura. Una realtà separata (Milano, Rizzoli, 2000), la follia controllata come strumento di conoscenza del guerriero. Viaggio a Ixtlan (Milano, Rizzoli, 2000), lezioni sulla strada del guerriero. L’isola del Tonal (Milano, Rizzoli, 1997), il tonal, la consapevolezza del lato destro e il nagual, la consapevolezza del lato sinistro. Il secondo anello del potere (Milano, Rizzoli, 2001) Il dono dell’aquila (Milano, Rizzoli, 1985) Il fuoco dal profondo (Milano, Rizzoli, 1987) Il potere del silenzio (Milano, Rizzoli, 2001) L’arte di sognare (Milano, Rizzoli, 2000) Tensegrità-Passi magici (Milano, Rizzoli, 2004) La ruota del tempo (Milano, Rizzoli, 2002) Il lato attivo dell’infinito (Milano, Rizzoli,)
Intervista a Dario Argento
Lei si interessa ancora di occulto? «Sì, ogni tanto vado a trovare un sensitivo che si chiama Proverbio. Anche Fellini era appassionato dell’occulto. Raccontava che una volta Julius Evola gli mostrò la gamba paralizzata e gli disse, un po’ scherzando e un po’ no: colpa di tutto l’occulto che ho studiato. Fellini si mise una paura matta».
Profondamente innamorato della vita, Federico Fellini ha costantemente attraversato l’esistenza ricercandone il significato. Realizzato in occasione del centenario della sua nascita (20 gennaio 2020), questo documentario scruta la sua passione per ciò che il Maestro definiva “mistero”: l’esoterico, il mondo invisibile e appartenente ad altre dimensioni da raggiungere con lo spirito e la mente. Grazie ai materiali degli archivi internazionali, di Rai Teche e dell’Isitituto Luce, a cui si aggiungono immagini tratte dai suoi film e interviste agli intellettuali che più hanno studiato la sua opera, “Fellini degli spiriti” è un ritratto inedito, intimo e spirituale di uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi.
«Il presente è inafferrabile a tutti gli esseri della Terra, perché essi non vivono nella realtà. Se fossero in grado di sentire il presente, avrebbero accesso all’eternità, dato che il presente non è nient’altro che l’eternità, nella quale c’è la vera vita».
G. Meyrink, La casa dell’alchimista
«Voglio usare una metafora: l’uomo interiore nascosto, separato da noi, che ci è estraneo, arciestraneo (!) nella coscienza di veglia, il velato, in un certo senso, giace dentro di noi verticalmente; è il midollo spinale — la Sushumma — di cui parla lo Yoga. L’uomo esteriore è separato, “obliquo” rispetto ad esso! Ecco perché i due non coincidono! Per l’uomo che “respira” a destra e a sinistra, quello interiore è un estraneo invisibile, nemmeno senziente […] ogni persona, infatti, è “malata” e scissa coscienzialmente in maniera diversa». Meyrink, Metamorfosi
« Il perno è nel sonno profondo: lì è il punto d’appoggio dell’universo, sul quale può essere poggiata la leva di Archimede per far uscire le stelle dalle loro orbite. »
” E di visione in visione, di pensiero in pensiero, si sbocca nella percezione netta di una saggezza unica nel tempo, in cui traspare la realtà di un’esperienza sovrannaturale e si intende il senso della preparazione catartica quale introduzione alla “Via” che… dischiude all’uomo la pura, luminosa, potenza”
Gustav Meyrink abbandona questo mondo la sera del 4 dicembre 1932. Dopo aver salutato i familiari, si ritira nella propria camera e si siede, a torso nudo nonostante il gelo, sulla poltrona dirimpetto alla finestra. Rimane così tutta la notte, contemplando il cielo stellato, l’alba e il sole nascente; quindi, ancora con lo sguardo in adorazione, spira serenamente. La moglie Mena definisce l’esperienza del trapasso del marito «una messa solenne di religione e nobiltà» e racconta, in una missiva raccolta in questa edizione Arktos
« I suoi occhi divennero sempre più splendenti e alle sei e trenta del mattino di domenica 4 dicembre esalò l’ultimo respiro. C’era in noi una gioia sgomenta nel vedere come il suo grande Spirito si era distaccato armonicamente. È rimasto il suo corpo, come una larva: la farfalla si è librata verso l’alto. » Fonte Axis Mundi
“Qui sorge una vita nuova, si pone un nuovo inizio, si apre un nuovo ciclo. La «luce della vita», si riaccende. Sorge o nasce dalle acque l’«eroe solare». Di là dall’oscurità e dal gelo mortale viene vissuta una rinascita, una liberazione. Il simbolico albero del mondo e della vita si anima di nuova forza. E’ in relazione a tutti questi significati che già in tempi preistorici anteriori di millenni all’èra volgare una quantità di riti e di feste sacre andarono a celebrate la data del 25 dicembre, come data di nascita o rinascita, nel mondo così come nell’uomo, della forza «solare»” Julius Evola
Immagine Laurent Grasso Studies into the Past olio su legno
‘Nel mito solare un punto ha però avuta sempre una importanza speciale, fin dalla più alta preistoria, fin dalla stessa “civiltà dei dolmen”; il punto in cui la luce solare sembra tramontare ed estingersi, abbandonare la terra desolata su cui ecco che poi, di nuovo, risplende: è il solstizio d’inverno. Qui appare un simbolo fondamentale: l’ascia.’
Julius Evola
“Nel simbolismo primordiale il segno del sole come “Vita”, “Luce delle Terre”, è anche il segno dell’Uomo. E come nel suo corso annuale il sole muore e rinasce, così anche l’uomo ha il suo “anno”, muore e risorge. Questo stesso significato fu suggerito, nelle origini, dal solstizio d’inverno, a conferirgli il carattere di un “mistero”. In esso la forza solare discende nella “Terra”, nelle “Acque”, nel “Monte” (ciò in cui, nel punto più basso del suo corso, il sole sembra immergersi), per ritrovare nuova vita. Nel suo rialzarsi, il suo segno si confonde con quello de “l’Albero” che sorge (“l’Albero della Vita” la cui radice è nell’abisso), sia “dell’Uomo cosmico” con le “braccia alzate”, simbolo di resurrezione. Con ciò prende anche inizio un nuovo ciclo, “l’anno nuovo”, la “nuova luce”. Julius Evola
''Il pensiero magico può essere o la peggiore o la migliore energia dell' ''inconscio umano'':
la migliore quando stimola a esplorare l'ignoto
la peggiore quando offre illusioni che alterano profondamente il suo rapporto con la realtà''
Giorgio Galli
''Le cose che non sono più forti di quelle sono”
Cromwell dopo la battaglia di Naseby
“La’ dove le cose sono prima di essere reali”
Julius Evola
Storia che ha inizio ma una fine non ha Nato in un angolo di mondo io fui Son figlio di luoghi e di giorni effimeri Di volti e delle voci e dei profumi che le notti portavano a me Omnia fert aetas Nomen est omen Su strade colme o vuote è il mio spettacolo Erro e dimoro ovunque e da nessuno sto Compagni di viaggio il sogno condividono Bicchiere colmo passo un’altra storia di raminghi, artisti racconterò Omnia fert aetas Nomen est omen Moto apparente delle cose inutili Cambiano vorticosi stati d’animo Un relativo punto fermo io non ho Le ore sempre cantano di stagioni e di domande senza una replica Omnia fert aetas Nomen est omen Sorte mi affida un posto fortuito Senza sapere quando lo pretenderà Cosi’ bevo un sorso di ogni breve attimo Senza esitare sguardi nei miei ricordi imprimo un’altra storia mi attende già Omnia fert aetas Nomen est omen “Tempo è una retta via Che si chiude in un cerchio e va Verso idea d’infinito io scivolai Certo che tutto andrà Senza me”
Bhaiṣajyaguru sanscrito “Maestro della Medicina” in cinese Yàoshī Fó 藥師佛; in giapponese Yakushirurikō Nyorai 薬師瑠璃光如来, noto anche come Buddha della Medicina o Maestro delle Cure, è il Buddha che rappresenta la medicina e il suo potere curativo. coreano Yaksa Yeorae 약사여래
tibetano Sman-la o Sangye Men La
Sangheye Buhdda
Men La guaritore,medico, colui che guarisce Bhaishajyaguru Vaiduryaprabha, “Maestro della Medicina dalla Luce Lapislazzuli” il Signore dei Rimedi, il Maestro guaritore dalla radiosità di lapislazzuli, il benefattore supremo conosciuto anche come Re della Luce Acquamarina, colui che ha scritto i Quattro Tantra Medici.
Bhaisajyaguru seduto nella posizione del loto, con indosso le vesti monacali. Il suo corpo è di colore blu lapislazzuli.
Come Shakyamuni indossa i vestiti di un monaco ed è seduto nella posizione del loto, il braccio destro verso terra con il palmo rivolto in avanti in segno di protezione di chi lo guarda; segue il varadamudra, “Gesto del dono” il pollice e l’indice tiene uno stelodi mirabolano, pianta miracolosa nota come la regina dei medicinali per la sua capacità di curare tutte le malattie
Nella mano sinistra, adagiata in grembo nel dhyanimudra (“Gesto della meditazione”), una ciotola contenente tre tipi di ambrosia
il nettare che cura la malattia e fa risorgere i morti; il nettare che mai si esaurisce, illumina la mente e accresce l a comprensione; in molte raffigurazioni il personaggio è circondato da pietre preziose curative (i cristalli), da foreste di erbe fragranti e piante medicinali. Nei tradizionali tangka tibetani, il Signore dei rimedi di lapislazzuli è spesso raffigurato in compagnia di altri sette Buddha della medicina, tra i quali lo stesso Shakyamuni. E nella raffigurazione del suo regno buddista orientale, noto come Puro LapisLazzuli, il Signore dei Rimedi di solito è affiancato dai due principali bodhisattva di quella terra pura, Suryaprabha e Chandraprabha, irradianti rispettivamente luce solare e lunare.
Il corpo è colorata di blu e questa luce terapeutica viene emanata tutt’intorno dal suo corpo per dissipare le nebbie delle emozioni che confondono la mente ed il cuore delle esistenze e per dissolvere i dolori del corpo fisico.
Namo Bhagavate Bhaishajyaguru –vaidurya Prabha-rajaya Tathagataya Arhate Samyak – sambuddhaya Tadyatha Om Bhaishajye Bhaishajye Bhaishajya-Samudgate Svaha
Io ti imploro, Benedetto Guru della Medicina,
Il cui santo corpo del colore del cielo di lapislazzuli
Significa saggezza onnisciente e compassione
Vasta come lo spazio infinito,
Ti prego concedimi la tua benedizione.
Io ti imploro, Benedetto Guru della Medicina,
Che nella mano destra reggi il re delle medicine
Simbolo del tuo impegno di aiutare tutti gli esseri senzienti in pena
Tormentati dai quattrocentoventiquatttro malanni,
Ti prego concedimi la tua benedizione.
Io ti imploro, Benedetto Guru della Medicina,
Che nella mano sinistra reggi una ciotola colma di nettare
Simbolo del tuo impegno di elargire il glorioso, immortale nettare del dharma
Che elimina le degenerazioni della malattia, della vecchiaia e della morte ,
Ti prego concedimi la tua benedizione.
Tradizionalmente il lapislazzuli simboleggiava le cose pure o rare. Si dice che abbia il potere di curare o fortificare chi la indossa, e grazie alla sua naturale levigatezza può essere lucidata fino a raggiungere un’alta capacità di fare riflettere. Per tutti questi motivi, oltre al fatto che la luce blu intenso possiede un comprovato effetto curativo nella pratica di visualizzazione, il lapis è il colore del principale Buddha della Medicina. Il Signore dei Rimedi di Lapis è una delle figure più onorate nel panteon buddista. I sutra in cui compare, confrontano la sua pura Terra orientale con il paradiso occidentale di Amitabha, e affermano che lì la rinascita porti all’illuminazione come la rinascita nella terra di Sukhavati. La recitazione del suo mantra, o perfino solo la ripetizione del suo santo nome, sarebbe sufficiente a permettere la liberazione dai reami inferiori, e a concedere la protezione dai pericoli terreni e da una morte prematura. In uno dei sutra principali concernenti il Buddha della Medicina, Shakyamuni dice al suo fedele discepolo e attendente personale Ananda:
Se questi esseri senzienti [immersi nelle profondità delle sofferenze del samsara) sentono il nome del Signore Maestro Guaritore, Tathagatha dalla radiosità di lapislazzuli, e lo accettano e vi si affidano con totale sincerità, e non nasce in loro alcun dubbio, allora non cadranno in un sentiero sventurato.
Oṃ Namo Bhagavate Bhaishajyaguru Vaidūryaprabharājāya Tathāgatāya Arhate Samyaksambuddhāya Tadyathā: Om Bhaishajye Bhaishajye Mahābhaishajye Bhaishajye Rāja Samudgate Svāhā
Om, lode al Beato Maestro della Medicina, il Re della luce color lapislazzuli, il Così-andato, il Venerabile, il perfettamente e completamente Risvegliato, l'Esempio (per noi): Om, o Medicina , o Medicina , Grande Medicina , Re della Medicina , che hai raggiunto la piena Conoscenza, benedicimi.
E la "corta", nota come "Mantra del Cuore del Buddha della Medicina":
(Tadyathā) Om Bhaishajye Bhaishajye Mahābhaishajye Bhaishajye Rāja Samudgate Svāhā
Si ritiene che la recitazione di questo mantra sia molto efficace per curare dalle sofferenze fisiche e per purificarsi dal karma negativo.
Un rituale molto in uso in caso di malattia è di recitare ogni giorno il mantra nella sua forma lunga per 108 volte su un bicchiere d’acqua e poi berne il contenuto: si crede che questo santifichi l’acqua con la benedizione del Buddha della Medicina ed abbia così effetti curativi.
È d’uso inoltre nel buddhismo tibetano recitare il mantra prima di ogni pasto non vegetariano; si crede che l’animale defunto possa così essere liberato dal suo karma negativo e reincarnarsi quindi in un’esistenza più felice.
On koro koro sendari matōgi sowaka (giapponese)
オン コ ロ コ ロ センダ リ マトウギ ソ ワ カ
OM KOROKORO SENDARI MATŌGI SOWAKA
“Mi abbandono/affido ai Buddha, liberaci dalle malattie diaboliche! Invochiamo il Buddha di
Medicina che intercede presso le Dee della felicità Sendari e Matōgi”.