Gá is nurna gangan yng yng pjar Hang hang gang gang Hymir ganda skadla hym hym gan Fold fold Har har Ou mi galdr maðr áss áss æt Óm óm gal gal Fu thork haniast bjamlyr futh fu thork Futh futh bjam bjam Hyndla horskr móðr má má kat Hap hap tak takÁsjá, angan, bjarga Ást standa ok fár hverfra Ásjá, anga næ næ næ Ok þú e er truir truir truirÁsjá, angan, bjarga Ást standa ok fár hverfra Ásjá, angan, tjá tjá tjá Ok þú e er ár ár árÁsjá, angan, bjarga Ást standa ok fár hverfra Kann ek galdr at gala Ønd og heidl sjá er kanÁsjá, angan, bjarga Ást standa ok fár hverfra Jafnan sædl órlausn Friðr, maðr, opt opt optGá is nurna gangan yng yng pjar Hang hang gang gang Hymir ganda skadla hym hym gan Fold fold Har har Ou mi galdr maðr áss áss æt Óm óm gal gal Fu thork haniast bjamlyr futh fu thork Futh futh bjam bjam Hyndla horskr móðr má má kat Hap hap tak takTraduci in italiano
L’officainte Maria Franz narra “Si tratta di amore, recupero e prosperità – e di scacciare il male e accogliere l’amore. Contiene una citazione dell’Hávamal, un antico poema islandese. Contiene anche molte parole di benedizione che hanno lo scopo di fornire e aiutare l’ascoltatore nei momenti difficili. L’inizio della canzone è qualcosa che ho ricevuto in un ritiro dove ho mangiato poco e dove ero tutta sola, dove non ho parlato per un paio di settimane. Personalmente credo – e non sono il solo – che troviamo le soluzioni migliori per le nostre sfide quando ci ritiriamo, quando andiamo da soli e ascoltiamo noi stessi”.
Loud speaks the norn, Yngvi walked, Yngvi lovesYou hang hang! Journey journeyHymir enchants, he strikes, he leavesEarth earth, High one high oneOu my spell, man god, divine familySound sound, screaming screamingFu thork haniast bjamlyr, futh fu thorkFuth futh, bjam bjamWise Hyndla, anger is no more, very cheerfulGood luck, good luck to you!Protection, joy, healingThe love stands and the harm goes awayProtection, joy to attain attain attainAnd you believe believe believeProtection, joy, healingThe love stands and the harm goes awayProtection, joy, help help helpAnd you are old old oldProtection, joy, healingThe love stands and the harm goes awayI can chant the spellBreath and health can be seenProtection, joy, healingThe love stands and the harm goes awayAlways a happy solutionPeace, human, often often often
«Uno degli uomini più singolari e affascinanti di questo secolo» Ugo Ojetti scrittore, critico d’arte, giornalista e aforista italiano.
Giacomo Boni. Scavi, misteri e utopie della Terza Roma Sandro Consolato edito da Alfaforte.
Attraverso una denso saggio, scorrevole come un romanzo storico, come sempre accurato e dettagliato con un poderoso apparato di note , l’autore ci conduce sulle tracce di un personaggio d’eccellenza della nostra storia.
Giacomo Boni ha segnato la storia dell’archeologia romana con notevoli scoperte nel Foro e sul Palatino che lo resero celebre in tutto il mondo, nonostante fosse considerato un outsider dal mondo accademico,fu anche letterato e botanico (riorganizzò gli Orti Farnesiani, sul Palatino, dove oggi è sepolto) figura originalissima e poliedrica, nazionalista mistico e nostalgico del paganesimo, inseguì l’utopia di una Terza Roma che ridesse un primato all’Italia nel mondo.
Sapiente erudito «completo», sensitivo degli scavi , geniale archeologo vate e architetto che rinnovò completamente la metodologia di scavo e studio dei siti stabilendo la necessità di tutelare e valorizzare i monumenti archeologici, concepì l’archeologia come
«una disciplina che può condurre alla scoperta e alla conoscenza delle leggi che regolano la vita umana nel suo complesso».
”Esplorai il centro di irradiazione della civiltà nostra per ricercare la vita nelle stratificazioni più profonde. Nelle antichissime leggi tradizionali vidi luce di vita molto maggiore che nei modernissimi ordinamenti. ”
Era un suo principio rispettare l’integrità dei complessi riportati in luce, considerando importanti tutti i materiali: manufatti, resti antropologici, botanici, faunistici, fu pioniere di operazioni fotografia archeologica dall’alto. Boni implementò l’uso della fotografia aerea su mongolfiera che gli permise di portare alla luce siti straordinari, come il Tempio di Vesta e il complesso della fonte di Giuturna. Introdusse nella metodologia archeologica lo scavo stratigrafico: una rivoluzione per la professione, testimoniata da molti dettagliati disegni esposti nella mostra Giacomo Boni. L’Alba della modernità.
Alle sue ricerche nel Foro Romano si devono la scoperta del Lapis niger, della Regia, del Lacus Curtius, dei cunicoli cesariani nel sottosuolo della piazza, della necropoli arcaica presso il tempio di Antonino e Faustina e della chiesa di Santa Maria Antiqua. Sul Palatino portò alla luce una cisterna arcaica a thòlos, che erroneamente identificò con il Mundus Cereris, i ricchi ambienti della “Casa dei Grifi” e della cosiddetta “Aula isiaca” al di sotto del palazzo imperiale di età flavia, l’Aedes Vestae, il Sepolcreto Arcaico della via Sacra, confutò le teorie, che negavano ogni valore alla tradizione storica sulle origini di Roma.
Foro Romano, sepolcreto presso il Tempio di Antonino e Faustina durante gli scavi Boni (archivio fotografico PA- Colosseo).
Oltre il lato biografico accurato l’autore ritiene rilevante al fine di comprendere appieno la personalità del Boni e la complessità delle sue idee: ‘l’attrazione per la spiritualità dell’India e dell’estremo Oriente e il nesso tra questa attrazione e la su aspirazione ad attingere ” l ‘Originario”,in termini di civiltà come di razza, la presenza, in lui di una forte dimensione mistica che mette in relazione con coeve pulsioni verso un ritorno al paganesimo…”
Tanaka Mazutaro nel Foro Romano. Il tiro è effettuato nella Basilica di Massenzio. Giacomo Boni ospitò nella sua casa Tanaka Mazutaro, proveniente da Tokyo, che gli fu presentato dallo scultore suo amico Moriyoshi Naganuma
“Mentre insegnavo all’ospite i primi rudimenti di alcune lingue europee, egli mi decifrava i cinquemila ideogrammi del Tao-te-king di Lao-tze, pensatore più antico e più universale di Socrate. Tale puro lavacro intellettuale mi schiuse gli occhi alla Via suprema delle umane cogitazioni e, scendendo, nel 1898, nella valle del Foro, per cercarvi la Via Sacra ed il Sepolcreto Romuleo ed i sacrari di stato ed altri monumenti delle origini nostre, li seppi raggiungere evitando per quanto era possibile di scomporre le pieghe misteriose e permalose al grave involucro patentato della scienza accademica“. Eva Tea
Sandro Consolato, nato a Bagnara Calabra nel 1959, è laureato in Filosofia e docente di Discipline letterarie e Latino nei licei.Si occupa prevalentemente della presenza del mito di Roma, dell’esoterismo e dell’orientalismo nella storia culturale e politica dell’Italia.In relazione a questi temi ha curato la rivista La Cittadella (2001-2012) e pubblicato i saggi Julius Evola e il buddhismo (1995), Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, storia d’Italia e memoria di Roma (2012), Evola e Dante. Ghibellinismo ed esoterismo (2014), Leggere la Tradizione (2018), Quindici-Diciotto. Tra storia e metastoria (2018), Urbs Aeterna. Misteri, figure, rinascite del paganesimo (2019), Le tre soluzioni di Julius Evola(2020)A ovest con René Guénon (2023).
Masso del Merlo, Val Tidone Nei pressi della Rocca d’Olgisio, non lontano da altri siti ricchi di incisioni rupestri e sarcofagi litici, si erge il cosiddetto “Masso del Merlo”, il quale si presenta come una sorta di osservatorio litico, ricco di incisioni a mo’ di coppelle. Incastonato in un pregevole panorama naturalistico, fornisce sensazioni di uscita dal tempo e dallo spazio, quelle che Zolla direbbe “Uscite dal Mondo”. megalithicmarvel Confer DIE HERRSCHAFT Andrea Anselmo
Uscire dallo spazio che su di noi hanno incurvato secoli e secoli è l’atto più bello che si possa compiere. Elémire Zolla
Interpretazione “apotropaica”, αποτρέπειν, apotrépein allontanare atto, animale, oggetto, formula monile apotropaico, rito apotropaico o gesto apotropaico, per allontanare o annullare un’influenza maligna o negativa o di buon augurio per i raccolti affinché fossero sempre abbondanti, di protezione dalla nefasta possibilità di ricorrere alle scorte del magazzino, gli organi maschili simbolo di fertilità ed ancora di protezione apotropaica. Un rito solstiziale nell’Albero della Fecondità? Nell’antica religione romana il termine fascinum (o fascinus) poteva riferirsi a differenti cose: al Dio Priapo (nominato anche Fascinus da Plinio il Vecchio),alle effigi ed agli amuleti fallici contro il malocchio ed infine agli incantesimi per stregare qualcuno o qualcosa
Le figure femminili tentano di cogliere i “frutti” e si accapigliano per strapparli una all’altra, ancora simbolismi di fecondità esplicita, o rappresentazione del potere magico dell’erotismo, sin dalla preistoria l’uomo ha sempre cercato nei simboli sessuali un qualche elemento per allontanare le forze maligne e assicurare fertilità e procreazione a una famiglia o a una comunità intera. La fecondità veniva spesso rappresentata da donne formose che mostravano i propri genitali in pose provocanti, simboli di lussuria e attrazione fatale.
Altre teorie si legano al conflitto tra guelfi e ghibellini, I guelfi avvertivano i frequentatori della fonte, che nel caso in cui i Ghibellini fossero tornati al potere, questi ultimi avrebbero diffuso idee eretiche, stregoneria e perversioni sessuali oppure, non vi è certezza, i ghibellini mostravano il loro” potere esoterico” con la Fascinazione dell’abbondanza. Lo studioso britannico George Ferzoco identificai come streghe le donne sotto l’albero, una delle più antiche rappresentazioni di streghe di tutta l’arte occidentale. Una di loro, inoltre, è nell’atto di aggiungere con un bastone un fallo a un ramo dell’albero. «All’epoca in Toscana era diffusa una leggenda secondo la quale le streghe tagliavano gli organi sessuali agli uomini e li mettevano nei nidi degli uccelli, dove avrebbero preso vita e si sarebbero moltiplicati».
definisce l’immagine addirittura come simbolo di sterilità, ne attribuisce la realizzazione al governo guelfo, che ha governato Massa Marittima tra il 1267 e il 1335, e addirittura mette in connessione le scene raffigurate nel dipinto con i riti celebrati dalle streghe e descritti nel Malleus maleficarum (1487). Nella sua lettura le donne ai piedi dell’albero sarebbero infatti delle streghe: quella a sinistra vestita di giallo e con la verga in mano starebbe cercando di raggiungere un nido di uccello dove ci sono due uccellini. Una cerimonia del genere è descritta nel Malleus dove si dice che le streghe praticano riti usando falli umani: dopo aver evirato gli uomini, collocano i loro attributi in nidi di uccello sugli alberi, in numero tra 20 e 30, li fanno crescere, infine li rimuovono e li usano per sortilegi vari.
Divinità arciaca romana, ne fecero menzione molti autori con diverse interpretazioni
Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit in curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies
la festa degli Angeronalia prende il nome da Angerona, il cui sacrificio è compiuto nella curia Acculeia e di cui quel giorno è la festa ufficiale Varrone, nel sesto libro del De lingua Latina
Marco Verrio Flacco nei “Fasti Prenestini”: – Festa pubblica. Divalia. Festa della Dea Angerona, che prese nome dal disagio della fastidiosa angina poichè ella un tempo rivelò un rimedio per essa. Hanno posto la statua di lei con la bocca imbavagliata sull’altare di Volupia, per mettere in guardia la gente a non proferire il nome segreto della città. –
Il nome deriverebbe ab angeronando, ossia dal rivolgersi del sole; Angerona sarebbe stata quindi, una divinità dell’anno nuovo.
La sua festa infatti cadeva appunto nel giorno del solstizio d’inverno. Festo (Epitome, p. 17) e Macrobio (Saturn., I, 10, 9)
“Nel XII giorno (delle calende di gennaio) vi è la festa della diva Angerona, a cui i pontefici fanno un sacrificio nel sacello di Volupia.
Per altri il nome deriverebbe dalla malattia detta angina; la divinità guariva i colpiti da quel morbo, che a lei come supplici si rivolgevano.
La sua immagine era rappresentata con la bocca chiusa, e si venerava sull’ara di Volupia. In un testo frammentario dei celebri Fasti Prenestini, compilati dal grammatico Verrio Flacco, ai tempi dell’imperatore Augusto, Angerona…. ore obligato in ara Volupiae.
Quest’ara si trovava sul lato occidentale del colle Palatino, presso la porta del recinto romuleo che guardava verso il Tevere. Ivi, dinnanzi al simulacro della dea che teneva chiusa la bocca con l’indice della mano destra, nel giorno della sua festa, 21 dicembre, i pontefici immolavano una vittima.
Sia Plinio che Solino, in un più ampio discorso che aveva come tema centrale l’evocatio, scelgono il simulacrum della Dea come simbolo del valore che il silenzio possedeva nella cultura romana, strumento privilegiato per proteggere Roma contro i nemici obligato atque signato, fu interpretata da alcuni autori antichi come dea che intimava il silenzio.
Entrambi inseriscono l’exemplum della raffigurazione della dea trattando lo stesso argomento: la città, per non incorrere nel pericolo di evocatio, rito pubblico romano che consisteva nell’evocare la divinità protettrice della città che si voleva conquistare promettendole asilo a Roma, ci raccontano i due autori, possedeva un secondo nome, tenuto segreto e protetto da un religioso silenzio;
Non alienum videtur inserere hoc loco exemplum religionis antiquae ob hoc maxime silentium institutae. Namque diva Angerona, cui sacrificatur a. d. XII kal. Ian., ore obligato obsignatoque simulacrum habet,
«non mi sembra fuori luogo inserire a questo punto l’esempio di un antico rito religioso istituito proprio per esortare a tale silenzio: la dea Angerona infatti, la cui festa ricorre il 21 dicembre, ha una statua con la bocca chiusa e sigillata
O forse la dea simboleggia la difficoltà del passaggio del solstizio d’inverno, quando il sole, la coscienza, sembra sparire nelle tenebre, in senso iniziatico, il solstizio d’inverno equivale alla Piccola Morte, Morte iniziatica, quando il neofita perdeva le difese della mente esterna morendo al mondo, e prova un senso molto forte di angoscia e di smarrimento.
nota 11 Dino Buzzati i misteri d’Italia, Mondadori
PER UN FILM MANCATO di Cesare Medail, Corriere della Sera 21.11.1997
Appena seduti al «Moustache Café», Castaneda parla di Fellini. «Federico, grande, intelligente, sensibile uomo. Peccato sia morto così giovane, ma mangiava troppo e comprimeva la sua energia. Quella volta a Roma, nel 1984, mi portò in un ristorante dove servivano dodici portate. C’era anche Marcello (Mastroianni): loro mangiarono tutto, io mi spaventai». Castaneda racconta che Fellini voleva fare un film ispirato al mondo di don Juan: «Era affascinato dall’universo dei brujos perché era un visionario. Voleva anche provare per una volta il peyote, ma gli dissi che non era consigliabile: con quel che mangiava, sarebbe stato un disastro». Il film non si fece: Fellini dirà che le visioni di Castaneda lo attiravano e insieme lo turbavano. Ne fece un racconto, uscito a puntate sul «Corriere» nell’86. Nel conversare anglo-ispanico Castaneda infila qualche parola d’italiano e viene fuori un particolare biografico del tutto inedito: «Quando ero giovane, trascorsi un periodo a Milano per studiare arte a Brera: era direttore lo scultore Marino Marini. L’aveva voluto mio nonno materno, siciliano, scultore autodidatta e donnaiolo impenitente. Diceva sempre: la bella Italia, porca miseria…».
Un incontro, un viaggio iniziatico, un film mai fatto, un disegno A TU PER TU CON FELLINI di Alberto Dentice, L’espresso 9 luglio 1998
Federico Fellini era affascinato dal mondo di Castaneda. Quelle storie popolate di brujos dotati di poteri paranormali, riti magici di antiche civiltà e funghi allucinogeni erano parte, per lui, di un immaginario al tempo stesso familiare ed esotico, spaventoso e affascinante. Lo scrittore latino-americano si considerava un grande ammiratore di Fellini. Insomma tra i due covava un’attrazione fatale che prima o poi sarebbe dovuta scattare. E difatti scattò, anche se le cose non andarono come previsto. Fellini sognava di realizzare un film ispirato al mondo di don Juan. Ne aveva parlato con Alberto Grimaldi, il suo produttore. E questi si era dato da fare per propiziare l’incontro.
Nel 1984, dopo molte insistenze, Castaneda arrivò a Roma. «Quella volta», ricordava, «Federico mi portò in un ristorante dove servirono dodici portate. C’era anche Marcello Mastroianni. Loro mangiarono tutto, io mi spaventai a morte: mangiavano troppo».
Durante la cena i due parlarono della possibilità di trasferire in un film una storia ambientata nel mondo magico degli stregoni messicani. Castaneda sembra diffidente. Fellini e il produttore insistono. E così alla fine decidono di darsi un nuovo appuntamento, a Los Angeles, per fare una serie di sopralluoghi nello Yucatan e verificare l’attuabilità del progetto. E così fu. Fellini assieme al figlio di Grimaldi e ad altri quattro amici partì per gli Stati Uniti. Ma a Los Angeles iniziarono i problemi. Castaneda pareva essersi dileguato nel nulla. Fellini cominciò a ricevere misteriose minacce e ad avvertire la presenza di strane entità. Ma pur spaventato decise lo stesso di compiere il sopralluogo. Destinazione Tulum, l’antica città azteca situata sulle sponde dell’Oceano Atlantico. Da quel viaggio, che ben presto prese le pieghe di una inquietante avventura esoterica, Fellini trasse l’idea di una storia per un film, “Viaggio a Tulum”, che non riuscì a realizzare. In compenso Milo Manara ne disegnò una serie di tavole a fumetti. Fra i personaggi si riconoscono Snaporatz (Mastroianni), il giornalista Vincenzo Mollica e, nei panni del cameriere messicano fragorosamente allegro e ridanciano, proprio Carlos Castaneda. Manara assicura che quel disegno, preso di sana pianta dagli story board di Fellini, costituisce il ritratto più verosimile di Castaneda, versione 1984.
1. La versione di Fellini stesso che si concretizzò in una serie di articoli sul Corriere della sera nel 1986 e in un fantastico fumetto di Milo Manara (Viaggio a Tulum), dove Fellini divenne Mastroianni e De Carlo divenne incredibilmente Vincenzo Mollica (sì, proprio lui, il Vincenzone di San Remo). 2. La versione di Andrea de Carlo che raccontò parte della storia nel suo romanzo ‘Yucatan’, sempre nel 1986, dove, mutati i nomi dei protagonisti, descrisse il viaggio nei minimi particolari soprattutto nella sua inconcludenza. 3. La versione di Christina Engelhardt, altra protagonista della storia, uscita di recente, nel libro del 2019, Towards the Moon with Fellini, la più esplicita di tutte.
Le tre versioni concordano sui seguenti fatti: 1. Non appena arrivati a Los Angeles cominciarono ad arrivare a Fellini strane telefonate di ‘Voci’ metalliche, come se fossero sintetizzate elettronicamente. 2. Impaurito dalle telefonate Castaneda scomparve, maledicendo la CIA (cosa c’entri CIA non è dato sapere). 3. Le telefonate davano indicazioni su cose da fare e su dove andare che Fellini decise comunque di seguire anche dopo la fuga di Castaneda. 4. Comparvero tre bellissime ragazze che ebbero anche vari approcci sessuali con i tre italiani. 5. Le ‘Voci’ assegnarono un colore a ogni personaggio. Fellini era il Verde, De Carlo il Blu, Christina il Rosa e così via. Dissero che ciò è molto importante. 6. Il viaggio a Tulum fu intrigante ma apparentemente poco produttivo. Le Voci fecero fare ai protagonisti delle azioni incongrue, tipo suonare strumenti o fare bagni in acque infestate da barracuda, davvero poco comprensibili. Il loro obiettivo sembrava essere quello di far girare un film a Fellini su questa avventura ma senza Castaneda che era considerato un impostore. 7. Il tour finì in nulla e il film non si farà mai. 8. L’amicizia tra Fellini e Andrea de Carlo finì invece al ritorno in Italia quando, nel 1986, De Carlo pubblicò un romanzo sulla loro avventura, Yucatan. I due non si parleranno più per tutta la vita. Vincenzo Mollica interrogato recentemente a tale proposito ha detto di non poter dire il motivo della lite perché vi sono cose che debbono rimanere riservate.
Senza dubbio, il modo migliore di farsi un’idea di cosa successe è partire dal documentario di sintesi ‘Fellini fine mai’ di Eugenio Cappuccio, prodotto per la RAI per il centenario di Fellini, presentato alla mostra di Venezia 2019, è candidato al premio David di Donatello del 2020. Il documentario, incentrato soprattutto sul viaggio a Tulum, racconta molte cose ma ne tiene nascoste ancora di più. Vi è anche riportata una telefonata della famosa ‘Voce’. Cappuccio intervista Cristina Enghelhard, la ragazza-spirituale, quella che ha avuto il ruolo principale nell’avventura, ma si ‘dimentica’ di dire che è stata sua moglie e che, dopo il viaggio a Tulum, era nota coma ‘la ragazza di Fellini’.
L’avventura di Tulum non terminò affatto con il ritorno in Italia. Le voci continuarono a tormentare Fellini anche successivamente, forse per anni, con telefonate anonime. Una di queste telefonate arrivò anche a Tullio Pinelli, il suo sceneggiatore. Ma De Carlo, il colore Blu, abbondantemente stufo della faccenda, pubblicò il suo romanzo in contemporanea con gli articoli di Fellini sul Corriere e uscì dal gioco. Christina, il colore Rosa, seguì Fellini in Italia con cui, a suo dire, ebbe un rapporto speciale anche se non di tipo sessuale. Infatti lei sposò l’assistente di De Carlo nel film Ginger e Fred, cioè l’assistente dell’assistente di Fellini, nel 1988, il suddetto Eugenio Cappuccio. Con lui produsse il documentario Towards the Moon with Fellini, girato sul set dell’ultimo film di Fellini La Voce della Luna, nel quale abbiamo modo di vedere l’autentica Christina nei panni di una reporter americana che intervista Benigni e Villaggio, i protagonisti del film.
Christina Engelhardt
Gli insegnamenti di Don Juan (Milano, Rizzoli, 1999, pubblicato anche con il titolo A scuola dallo stregone (Roma, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini, 1970), descrive soprattutto come usare le ‘piante del potere’, il peyote e la datura. Una realtà separata (Milano, Rizzoli, 2000), la follia controllata come strumento di conoscenza del guerriero. Viaggio a Ixtlan (Milano, Rizzoli, 2000), lezioni sulla strada del guerriero. L’isola del Tonal (Milano, Rizzoli, 1997), il tonal, la consapevolezza del lato destro e il nagual, la consapevolezza del lato sinistro. Il secondo anello del potere (Milano, Rizzoli, 2001) Il dono dell’aquila (Milano, Rizzoli, 1985) Il fuoco dal profondo (Milano, Rizzoli, 1987) Il potere del silenzio (Milano, Rizzoli, 2001) L’arte di sognare (Milano, Rizzoli, 2000) Tensegrità-Passi magici (Milano, Rizzoli, 2004) La ruota del tempo (Milano, Rizzoli, 2002) Il lato attivo dell’infinito (Milano, Rizzoli,)
Intervista a Dario Argento
Lei si interessa ancora di occulto? «Sì, ogni tanto vado a trovare un sensitivo che si chiama Proverbio. Anche Fellini era appassionato dell’occulto. Raccontava che una volta Julius Evola gli mostrò la gamba paralizzata e gli disse, un po’ scherzando e un po’ no: colpa di tutto l’occulto che ho studiato. Fellini si mise una paura matta».
Profondamente innamorato della vita, Federico Fellini ha costantemente attraversato l’esistenza ricercandone il significato. Realizzato in occasione del centenario della sua nascita (20 gennaio 2020), questo documentario scruta la sua passione per ciò che il Maestro definiva “mistero”: l’esoterico, il mondo invisibile e appartenente ad altre dimensioni da raggiungere con lo spirito e la mente. Grazie ai materiali degli archivi internazionali, di Rai Teche e dell’Isitituto Luce, a cui si aggiungono immagini tratte dai suoi film e interviste agli intellettuali che più hanno studiato la sua opera, “Fellini degli spiriti” è un ritratto inedito, intimo e spirituale di uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi.
«Il presente è inafferrabile a tutti gli esseri della Terra, perché essi non vivono nella realtà. Se fossero in grado di sentire il presente, avrebbero accesso all’eternità, dato che il presente non è nient’altro che l’eternità, nella quale c’è la vera vita».
G. Meyrink, La casa dell’alchimista
«Voglio usare una metafora: l’uomo interiore nascosto, separato da noi, che ci è estraneo, arciestraneo (!) nella coscienza di veglia, il velato, in un certo senso, giace dentro di noi verticalmente; è il midollo spinale — la Sushumma — di cui parla lo Yoga. L’uomo esteriore è separato, “obliquo” rispetto ad esso! Ecco perché i due non coincidono! Per l’uomo che “respira” a destra e a sinistra, quello interiore è un estraneo invisibile, nemmeno senziente […] ogni persona, infatti, è “malata” e scissa coscienzialmente in maniera diversa». Meyrink, Metamorfosi
« Il perno è nel sonno profondo: lì è il punto d’appoggio dell’universo, sul quale può essere poggiata la leva di Archimede per far uscire le stelle dalle loro orbite. »
” E di visione in visione, di pensiero in pensiero, si sbocca nella percezione netta di una saggezza unica nel tempo, in cui traspare la realtà di un’esperienza sovrannaturale e si intende il senso della preparazione catartica quale introduzione alla “Via” che… dischiude all’uomo la pura, luminosa, potenza”
Gustav Meyrink abbandona questo mondo la sera del 4 dicembre 1932. Dopo aver salutato i familiari, si ritira nella propria camera e si siede, a torso nudo nonostante il gelo, sulla poltrona dirimpetto alla finestra. Rimane così tutta la notte, contemplando il cielo stellato, l’alba e il sole nascente; quindi, ancora con lo sguardo in adorazione, spira serenamente. La moglie Mena definisce l’esperienza del trapasso del marito «una messa solenne di religione e nobiltà» e racconta, in una missiva raccolta in questa edizione Arktos
« I suoi occhi divennero sempre più splendenti e alle sei e trenta del mattino di domenica 4 dicembre esalò l’ultimo respiro. C’era in noi una gioia sgomenta nel vedere come il suo grande Spirito si era distaccato armonicamente. È rimasto il suo corpo, come una larva: la farfalla si è librata verso l’alto. » Fonte Axis Mundi
“Qui sorge una vita nuova, si pone un nuovo inizio, si apre un nuovo ciclo. La «luce della vita», si riaccende. Sorge o nasce dalle acque l’«eroe solare». Di là dall’oscurità e dal gelo mortale viene vissuta una rinascita, una liberazione. Il simbolico albero del mondo e della vita si anima di nuova forza. E’ in relazione a tutti questi significati che già in tempi preistorici anteriori di millenni all’èra volgare una quantità di riti e di feste sacre andarono a celebrate la data del 25 dicembre, come data di nascita o rinascita, nel mondo così come nell’uomo, della forza «solare»” Julius Evola
Immagine Laurent Grasso Studies into the Past olio su legno
‘Nel mito solare un punto ha però avuta sempre una importanza speciale, fin dalla più alta preistoria, fin dalla stessa “civiltà dei dolmen”; il punto in cui la luce solare sembra tramontare ed estingersi, abbandonare la terra desolata su cui ecco che poi, di nuovo, risplende: è il solstizio d’inverno. Qui appare un simbolo fondamentale: l’ascia.’
Julius Evola
“Nel simbolismo primordiale il segno del sole come “Vita”, “Luce delle Terre”, è anche il segno dell’Uomo. E come nel suo corso annuale il sole muore e rinasce, così anche l’uomo ha il suo “anno”, muore e risorge. Questo stesso significato fu suggerito, nelle origini, dal solstizio d’inverno, a conferirgli il carattere di un “mistero”. In esso la forza solare discende nella “Terra”, nelle “Acque”, nel “Monte” (ciò in cui, nel punto più basso del suo corso, il sole sembra immergersi), per ritrovare nuova vita. Nel suo rialzarsi, il suo segno si confonde con quello de “l’Albero” che sorge (“l’Albero della Vita” la cui radice è nell’abisso), sia “dell’Uomo cosmico” con le “braccia alzate”, simbolo di resurrezione. Con ciò prende anche inizio un nuovo ciclo, “l’anno nuovo”, la “nuova luce”. Julius Evola