Uroboro deriva dal greco οὐροβόρος/οὐρηβόρος (ὄφις), ourobóros/ourēbóros (óphis) composto di οὐρά (coda) e del suffisso -βόρος, corrispondente al latino -voro; dunque (serpente) che si morde la coda, un’etimologia «ermetica» legata alla tradizione alchimistica, un simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse epoche. Rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine.
Apparentemente immobile, ma in eterno movimento, rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, l’energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica delle cose che ricominciano dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine. Simboleggia quindi l’unità, la totalità del tutto, l’infinito, l’eternità, il tempo ciclico, l’eterno ritorno, l’immortalità e la perfezione

Nella tradizione alchemica l’Ouroboros è un simbolo palingenetico (dal greco πάλιν, palin, “di nuovo” e γένεσις, génesis, “creazione, nascita”, ovvero “che nasce di nuovo”) che rappresenta il processo alchemico, il ciclico susseguirsi di distillazioni e condensazioni necessarie a purificare e portare a perfezione la “Materia Prima”. Durante la trasmutazione la Materia Prima si divide nei suoi principi costitutivi, per questo motivo l’Ouroboros alchemico viene spesso rappresentato anche nella forma di due serpenti che si rincorrono le code. Quello superiore, alato, coronato e provvisto di zampe rappresenta la Materia Prima in forma volatile, quello sottostante il residuo fisso, dalla loro ri-unione in un unico Ouroboros con le zampe e incoronato (quindi vincitore), si ottiene la pietra filosofale, il “grande elisir” o “quintessenza”
La Chrysopoeia di Cleopatra (da χρυσός, chrysós, “oro” e ποιεῖν, poieîn, “fare”), contiene l’immagine di un Ouroboros, metà bianco e metà rosso, con all’interno la scritta ἒν τὸ Πᾶν (hèn tò Pân), traducibile come “l’Uno (è) il Tutto” oppure «Tutto è Uno».
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