L’antico nome di Śiva è Rudra, il dio selvaggio Śhiva è il Signore di tutti gli yogin (i praticanti dello yoga), l’asceta perfetto, simbolo del dominio sui sensi e sulla mente, eternamente immerso nella beatitudine (ānanda) e nel samādhi È il signore dell’elevazione che dona ai devoti la forza necessaria per perseverare nella propria disciplina spirituale (sādhana) è il protettore degli eremiti, degli asceti, degli yogin, dei sādhu di tutti quegli aspiranti spirituali che con lo scopo di indagare sulla Verità e conseguire così la liberazione (mokṣa)
In virtù dei suoi molteplici aspetti, benevoli e terrifici a un tempo, assume forme ed epiteti diversi. Come signore del tempo presiede all’incessante dinamica creazione-annientamento-rigenerazione, il cui ritmo è scandito dalla sua danza cosmica. Oltre che come sommamente potente e come distruttore, è venerato anche come divino asceta. La divinità femminile che spesso lo accompagna, simbolo della sua shakti o energia vitale, assume anch’essa diverse sembianze e viene via via identificata con Uma, Parvati, Durga, Kali ecc. La molteplicità delle manifestazioni del dio è sottolineata da particolari iconografie, che lo ritraggono con il corpo per metà maschile e per metà femminile, o come una figura a tre teste.
yadātamas tan na divā na rātrir na san na cāsac chiva eva kevalaḥ tad akṣaraṃ tat savitur vareṇyaṃ prajñā ca tasmāt prasṛtā purāṇi
Là dove non vi è oscurità, – né notte, né giorno, – né Essere, né Nonessere, – là vi è il Propizio, solo, – assoluto ed eterno; – là vi è il glorioso splendore – di quella Luce dalla quale in principio – sgorgò antica saggezza
Śvetāśvatara Upaniṣad
Nel poema epico Mahābhārata Indra, re degli dèi, consigliò a suo figlio, l’eroe Arjuna, di propiziarsi Śiva in modo che gli prestasse il proprio potentissimo arco ( Gandhiva). Arjuna aveva infatti bisogno delle armi più forti dei Deva per sconfiggere i suoi malvagi cugini Kaurava nella guerra di Kurukshetra.
Arjuna intraprese una serie di dure pratiche ascetiche, durante le quali si focalizzò su Śiva, adorandolo nella forma di liṅga, e rivolgendo a quest’ultimo la propria devozione. Śiva, constatando la purezza dei suoi intenti, volle mettere alla prova il suo ardore guerriero: un giorno, il Pandava fu attaccato da un grande demone sotto forma cinghiale, reagì e scagliò una freccia. Śiva, che nel frattempo aveva assunto la forma di un cacciatore (kirāta), scagliò a sua volta una freccia che colpì il bersaglio nello stesso istante di quella di Arjuna. Il cinghiale cadde al suolo senza vita, ma Arjuna si accorse che qualcun altro aveva interferito con quello scontro. Accortosi della presenza del cacciatore, ebbe un contenzioso su chi avesse colpito la preda per primo, la discussione si trasforò in un feroce duello. Combatterono per lungo tempo, Arjuna non riusciva a sopraffare l’avversario. Stremato e ferito, meditò su Śiva invocando umilmente il suo aiuto. Quando riaprì gli occhi vide il corpo del cacciatore adornato da fiori e capì che questi non era altri che lo stesso Śiva. Arjuna si prostrò ai suoi piedi, scusandosi per non averlo riconosciuto e per essersi addirittura scagliato in battaglia contro di lui. Śiva gli sorrise rivelandogli il proprio vero intento: assicurarsi che Arjuna fosse qualificato per utilizzare la sua arma più potente. Il Dio così gli promise che, prima dell’inizio della guerra, gli avrebbe consegnato l’arco ed insegnato ad usarlo, quindi scomparve.
In Shiva è la danza della creazione come della distruzione. E’ in essa che Shiva, rispecchia la bipolare ed ambivalente interconnessione di vita e morte, si erge danzando al di sopra del demone della nescienza (sanscrito: avidya). Come per la feroce Kalì, il divino Shiva presenta caratteri poliedrici ed ambivalenti ed ora lo si vede benevolo, ora irato, ora ottenebrato. E’ questo il gioco delle sue cinque operazioni di emissione, mansione, assorbimento, offuscazione e grazia. Rudra, lo spietato dio che dissemina distruzione e poi Maheshvara, signore di tutte le divinità e Bhairava altra immagine terribile ma a doppio significato poichè Bhairava vuol dire sostenitore degli yoghin e sostenitore del cosmo.
La triplice forma di Shiva è anche quella di supremo yoghin Mahayogin e come polarità maschile è mahadeva sposo di Parvati, la shakti, l’energia cosmica che manifesta il mondo prima di trasfigurarsi come la distruttiva Kali, la terribile dea del tempo che getta nella fossa del samsara le esistenze fenomeniche.
Shiva è anche Androgino in Ardhanarishvara, per metà uomo e per metà donna che nei sinuosi movimenti danza nel cosmo come Nataraja. Insomma il dio di questa dimensione cosmogonica è Shiva adorato nei santuari al cui si presta l’immagine della sua terribile creazione, mostro e protettore a forma di makara antropomorfo (il Kirtthimukha) la doppia medaglia della distruzione-benevolenza. Shiva è adorato e temuto.
SHIVA E DIONISO
”In verità Dioniso ed Ade sono lo stesso dio”. Egli, in similitudine con Shiva, è il Nume dell’ebrezza (Via della Mano Sinistra), della contemplazione, del distacco, che presenta di immediatezza. L’uso simbolico dello specchio, la danza delle menadi, similmente al ballo più tardo della Taranta, ci indicano una sorta “scatenamento consapevole ed unitario”.
Angelo Tonelli (grecista scrittore)
Entrambe le divinità esprimono essenzialmente l’anelito spirituale che celebra l’aspetto divino degli istinti naturali dell’uomo e la profonda comunione condivisa dall’animale umano con la vita selvaggia e l’intero cosmo. Dioniso e Shiva sono dèi della vegetazione, protettori di animali ed alberi, vivono nelle foreste e nelle montagne in modo austero ed essenziale, nudi o abbigliati della sola pelle di animali selvatici, poiché essi sono manifestazioni del Riconoscimento della vera Natura dell’essere. Sono dunque ambedue “immagini archetipiche della vita indistruttibile”, personificazioni di quell’energia vitale conosciuta dai greci come Zoe: il soffio vitale del mondo a cui la morte non si può contrapporre, poiché a morire sono le singole vite e non la Vita in sé. Questa energia vitale indistruttibile è convenzionalmente rappresentata da simboli associati ad entrambi i culti, come il Toro, il Fallo (o Lingam nel caso di Shiva) e il Serpente, che identificano entrambe le divinità come personificazioni del principio maschile ascendente. Ma sia Shiva che Dioniso sono anche giovani divinità androgine, eterni adolescenti con caratteristiche maschili e femminili, spiriti di energia giocosa, distruttiva e trasformativa che li rivela come divinità ambivalenti, mutevoli, che esprimono paradosso, ambiguità e coincidenza di opposti come essenza ultima di quello stato divino in cui le dualità vengono meno.