Il Pugile a riposo e la Vittoria

“L’esposizione congiunta di questi due straordinari bronzi permetterà di dar vita a un dialogo ‘impossibile’ tra il mondo ellenistico e il mondo romano, offrendoci una preziosa narrazione sul polimorfo simbolismo della Vittoria, da Nike sportiva ad emblema della pax latina, qui rappresentate da due capolavori dell’arte universale. Il Pugilatore in riposo, incarna alcuni dei valori nei quali il mondo romano affondò le proprie radici culturali”, commenta la Presidente Fondazione Brescia Musei Francesca Bazoli. “Il Pugile e la Vittoria, visitabile sino al 29 Ottobre 2023 nel Parco Archeologico di Brescia Romana con uno spettacolare allestimento curato dall’architetto Juan Navarro Baldeweg, sarà l’occasione per ridurre la distanza cronologica, che ha separato le due opere in antico, traendo forza dalla relazione che intercorre tra esse. Nello spazio dell’aula del tempio romano di Brescia, con contrappunti armonici, si dipanerà una narrazione concettuale e poetica sui valori assoluti che queste sculture rappresentano e che mantengono ancora intatti nel nostro tempo”.

Giacomo Boni, geniale archeologo simbolista , Flamen Floralis, ultimo custode degli arcana Urbis

«Uno degli uomini più singolari e affascinanti di questo secolo»
Ugo Ojetti  
scrittore, critico d’arte, giornalista e aforista italiano.

Giacomo Boni. Scavi, misteri e utopie della Terza Roma
Sandro Consolato edito da Alfaforte.

Attraverso una denso saggio, scorrevole come un romanzo storico, come sempre accurato e dettagliato con un poderoso apparato di note , l’autore ci conduce sulle tracce di un personaggio d’eccellenza della nostra storia.
Giacomo Boni ha segnato  la storia dell’archeologia romana con notevoli scoperte nel Foro e sul Palatino che lo resero celebre in tutto il mondo, nonostante  fosse considerato un outsider dal mondo accademico,fu anche letterato e botanico (riorganizzò gli Orti Farnesiani, sul Palatino, dove oggi è sepolto) figura originalissima e poliedrica, nazionalista mistico e nostalgico del paganesimo, inseguì l’utopia di una Terza Roma che ridesse un primato all’Italia nel mondo.
 Sapiente erudito «completo»,  sensitivo degli scavi , geniale archeologo vate e architetto che rinnovò completamente la metodologia di scavo e studio dei siti stabilendo la necessità di tutelare e valorizzare i monumenti archeologici, concepì l’archeologia come 
«una disciplina che può condurre alla scoperta e alla conoscenza delle leggi che regolano la vita umana nel suo complesso».

”Esplorai il centro di irradiazione della civiltà nostra per ricercare la vita nelle stratificazioni più profonde. Nelle antichissime leggi tradizionali vidi luce di vita molto maggiore che nei modernissimi ordinamenti. ”

Era un suo principio rispettare l’integrità dei complessi riportati in luce, considerando importanti tutti i materiali: manufatti, resti antropologici, botanici, faunistici, fu pioniere di operazioni fotografia archeologica dall’alto. Boni implementò l’uso della fotografia aerea su mongolfiera che gli permise di portare alla luce siti straordinari, come il Tempio di Vesta e il complesso della fonte di Giuturna. Introdusse nella metodologia archeologica lo scavo stratigrafico: una rivoluzione per la professione, testimoniata da molti dettagliati disegni esposti nella mostra Giacomo Boni. L’Alba della modernità.

Alle sue ricerche nel Foro Romano si devono la scoperta del Lapis niger, della Regia, del Lacus Curtius, dei cunicoli cesariani nel sottosuolo della piazza, della necropoli arcaica presso il tempio di Antonino e Faustina e della chiesa di Santa Maria Antiqua. Sul Palatino portò alla luce una cisterna arcaica a thòlos, che erroneamente identificò con il Mundus Cereris, i ricchi ambienti della “Casa dei Grifi” e della cosiddetta “Aula isiaca” al di sotto del palazzo imperiale di età flavia, l’Aedes Vestae, il Sepolcreto Arcaico della via Sacra, confutò le teorie, che negavano ogni valore alla tradizione storica sulle origini di Roma.

Foro Romano, sepolcreto presso il Tempio di Antonino e Faustina durante gli scavi Boni (archivio fotografico PA- Colosseo).

Oltre il lato biografico accurato l’autore ritiene rilevante al fine di comprendere appieno la personalità del Boni e la complessità delle sue idee:
‘l’attrazione per la spiritualità dell’India e dell’estremo Oriente e il nesso tra questa attrazione e la su aspirazione ad attingere ” l ‘Originario”,in termini di civiltà come di razza, la presenza, in lui di una forte dimensione mistica che mette in relazione con coeve pulsioni verso un ritorno al paganesimo…”

Tanaka Mazutaro nel Foro Romano.
Il tiro è effettuato nella Basilica di Massenzio.
Giacomo Boni ospitò nella sua casa Tanaka Mazutaro, proveniente da Tokyo, che gli fu presentato dallo scultore suo amico Moriyoshi Naganuma 

Mentre insegnavo all’ospite i primi rudimenti di alcune lingue europee, egli mi decifrava i cinquemila ideogrammi del Tao-te-king di Lao-tze, pensatore più antico e più universale di Socrate. Tale puro lavacro intellettuale mi schiuse gli occhi alla Via suprema delle umane cogitazioni e, scendendo, nel 1898, nella valle del Foro, per cercarvi la Via Sacra ed il Sepolcreto Romuleo ed i sacrari di stato ed altri monumenti delle origini nostre, li seppi raggiungere evitando per quanto era possibile di scomporre le pieghe misteriose e permalose al grave involucro patentato della scienza accademica“.
Eva Tea

Sandro Consolato, nato a Bagnara Calabra nel 1959, è laureato in Filosofia e docente di Discipline letterarie e Latino nei licei.Si occupa prevalentemente della presenza del mito di Roma, dell’esoterismo e dell’orientalismo nella storia culturale e politica dell’Italia.In relazione a questi temi ha curato la rivista La Cittadella (2001-2012) e pubblicato i saggi Julius Evola e il buddhismo (1995), Dell’elmo di Scipio. Risorgimento, storia d’Italia e memoria di Roma (2012), Evola e Dante. Ghibellinismo ed esoterismo (2014), Leggere la Tradizione (2018), Quindici-Diciotto. Tra storia e metastoria (2018), Urbs Aeterna. Misteri, figure, rinascite del paganesimo (2019), Le tre soluzioni di Julius Evola (2020)A ovest con René Guénon (2023).

Dum loquimur, fugerit invida aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

Tu ne quaesieris, scire nefas, quem mihi, quem tibi
finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios
temptaris numeros.
Ut melius, quicquid erit, pati.
seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam,
quae nunc oppositis debilitat pumicibus mare
Tyrrhenum: sapias, vina liques, et spatio brevi
spem longam reseces.
Dum loquimur, fugerit invida
aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

Non chiedere, è peccato saperlo, quale fine a
me, a te gli dei abbiano assegnato, o Leuconoe, e non affidarti ai calcoli caldei.

Com’è meglio sopportare tutto quello che sarà, sia
che Giove ci abbia concesso più anni sia come ultimo questo che ora sfianca il mare
Tirreno contro le opposte scogliere; sii saggia, filtra il vino, e per la brevità del tempo
tronca una speranza (troppo) lunga.


Mentre parliamo, sarà fuggito via il tempo invidioso:
cogli il giorno, il meno possibile fidandoti del domani

Odi I, 11Orazio

  1. Tu: enfatico in posizione iniziale, a dar rilievo al divieto seg. – ne quæsieris: “non chiedere”; forma sincopata;
    normale l’imperativo negativo così espresso – scire nefas: ”Saperlo (è) peccato”; il sostantivo cerca di rendere il
    concetto latino, che ha connotazione religiosa, denotando violazione di una norma divina, mentre ius allude alla sfera umana; posizione analoga a Carm. 3,29,29 sgg. – quem: “quale”, aggettivo interrogativo, attributo di finem, ripetuto in
    anafora – mihi… tibi: può essere accenno discreto al legame sentimentale tra i due, con la donna che, più insicura,
    cerca di sapere in ogni modo cosa le riserba il futuro, preoccupandosi per prima cosa dell’innamorato; si osservi l’asindeto
  2. finem: termine generico, può oscillare tra la “fine” della vita e anche quella del loro amore, se i due pronomi precedenti si riferiscono all’attualità di una liaison sentimentale – Leuconoe: grecismo, è vocativo – nec: coordina il
    seg. temptaris (= temptaveris, forma sincopata) al prec. quaesi(v)eris, ed è irregolare (ci vorrebbe neve/neu) – Babylonios: tradizionale riferimento all’astrologia caldea, diffusa in Roma, come tante altre pratiche e culti di provenienza orientale.
  3. numeros: “i calcoli”, necessari in astrologia per conoscere corso e posizione degli astri e procedere quindi alla stesura degli oroscopi – ut: con valore avverbiale, “quanto” – melius: sottinteso est, con significato analogo in italiano, regge l’infinito pati “sopportare”, con l’idea dell’accettazione cosciente e consapevole: eco certa in Ov. Her. 18,
    51 – quicquid erit: “tutto quel che sarà”, così anche Virgilio (Aen. 5,710).
  4. pluris (=es): “parecchi”, in aggiunta all’attuale, da contrapporre ad ultimam hiemem. ‘Inverni’ per ‘ann’, in una sineddoche che è suggerita dalla stagione, alludendo però, con ogni probabilità, anche all’inverno della vita, la vecchiaia
    – tribuit: (sott. nobis), “(ci) ha assegnato, concesso”; preferibile considerarlo un perfetto, pur pensando taluni ad un
    presente; ha per soggetto Iuppiter.
  5. nunc: “adesso”, precisazione cronologica di Ovidio – debilitat: “sfianca”, ha per oggetto mare Tyrrhenum; nel verbo
    l’idea di sfinimento umanizza il mare, Virgilio (Aen. 10,304 usa fatigat) – oppositis pumicibus: “contro le opposte scogliere”; il sostantivo allude più propriamente a rocce di origine lavica.
  6. sapias: congiuntivo del linguaggio colloquiale, come i seguenti liques e reseces; è più efficace dell’imperativo; verbo
    non casuale (lett. “aver sapore”), è un invito esplicito ad avere “sale in zucca”, con metafora che la traduzione, “sii saggia”, banalizza – vina liques: “filtra il vino”, per evitare residui ed impurità sgradevoli, frequenti nei vini antichi, a
    causa della loro densità – spatio brevi: ablativo causale “per la brevità dello spazio”, ove il vocabolo allude alla
    brevità dell’esistenza. Ma si suggeriscono altre interpretazioni, legando più strettamente l’espressione a quella seguente
    (“recidi entro il breve spazio una lunga speranza”).
    Florilegium
    11
  7. reseces: nel prefisso l’invito a rendere abituale, scontata l’azione (quasi un: “abituati a troncare”) – dum loquimur: “mentre stiamo parlando” – fugerit: futuro anteriore, ad accrescere l’enfasi e a sancire conclusione inevitabile
    ed irreparabile, di cui invida (“invidioso”) è spia eloquente, mentre aetas, in enjambement, è “il tempo”, inteso come durata della vita, come il greco aijwvn.
  8. carpe diem: “cogli il giorno”, come un frutto prezioso, da assaporare e gustare appieno, nell’incertezza totale del futuro; evidente eco epicurea (cfr. EPIC. Ep. ad Men. 126) – quam minimum: “il meno possibile”, forma rafforzata di
    superlativo avverbiale – credula: “fidando, fiduciosa”, ma è riduttivo perché richiama con garbo, condannandola,
    l’inutilità dei tentativi iniziali, dovuti ad una credulità che non ha senso né giustificazione – postero: attributo di un
    sottinteso diei, “il giorno dopo”; nell’incertezza del futuro, anche il solo “domani” può essere rischioso (cfr. Epist. 1,4,
    13-14).

Dum loquimur, fugerit invida aetas:carpe diem, quam minimum, credula postero

La porta di Dite è sempre aperta Facilis descensus Averno

Facilis descensus Averno: noctes atque dies patet atri ianua Ditis; sed revocare gradum superasque evadere ad auras, hoc opus, hic labor

Virgilio Eneide, VI, 126-129

Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini e tornare a vedere il cielo qui sta il difficile, qui la vera fatica.

Angerona dea silente dalle molte interpretazioni

Divinità arciaca romana, ne fecero menzione molti autori con diverse interpretazioni

Angeronalia ab Angerona, cui sacrificium fit in curia Acculeia et cuius feriae publicae is dies


la festa degli Angeronalia prende il nome da Angerona, il cui sacrificio è compiuto nella curia Acculeia e di cui quel giorno è la festa ufficiale
Varrone, nel sesto libro del De lingua Latina

 Marco Verrio Flacco nei “Fasti Prenestini”:
– Festa pubblica. Divalia. Festa della Dea Angerona, che prese nome dal disagio della fastidiosa angina poichè ella un tempo rivelò un rimedio per essa.
Hanno posto la statua di lei con la bocca imbavagliata sull’altare di Volupia, per mettere in guardia la gente a non proferire il nome segreto della città. –


Il nome deriverebbe ab angeronando, ossia dal rivolgersi del sole; Angerona sarebbe stata quindi, una divinità dell’anno nuovo.


La sua festa infatti cadeva appunto nel giorno del solstizio d’inverno.
Festo (Epitome, p. 17) e Macrobio (Saturn., I, 10, 9)



“Nel XII giorno (delle calende di gennaio) vi è la festa della diva Angerona, a cui i pontefici fanno un sacrificio nel sacello di Volupia.

Per altri il nome deriverebbe dalla malattia detta angina; la divinità guariva i colpiti da quel morbo, che a lei come supplici si rivolgevano.


La sua immagine era rappresentata con la bocca chiusa, e si venerava sull’ara di Volupia.
In un testo frammentario dei celebri Fasti Prenestini, compilati dal grammatico Verrio Flacco, ai tempi dell’imperatore Augusto,
Angerona…. ore obligato in ara Volupiae.

Quest’ara si trovava sul lato occidentale del colle Palatino, presso la porta del recinto romuleo che guardava verso il Tevere. Ivi, dinnanzi al simulacro della dea che teneva chiusa la bocca con l’indice della mano destra, nel giorno della sua festa, 21 dicembre, i pontefici immolavano una vittima.


Sia Plinio che Solino, in un più ampio discorso che aveva come tema centrale l’evocatio, scelgono il simulacrum della Dea come simbolo del valore che il silenzio possedeva nella cultura romana, strumento privilegiato per proteggere Roma contro i nemici obligato atque signato, fu interpretata da alcuni autori antichi come dea che intimava il silenzio.

Entrambi inseriscono l’exemplum della raffigurazione della dea trattando lo stesso argomento: la città, per non incorrere nel pericolo di evocatio, rito pubblico romano che consisteva nell’evocare la divinità protettrice della città che si voleva conquistare promettendole asilo a Roma, ci raccontano i due autori, possedeva un secondo nome, tenuto segreto e protetto da un religioso silenzio;


 Non alienum videtur inserere hoc loco exemplum religionis antiquae ob hoc maxime silentium institutae. Namque diva Angerona, cui sacrificatur a. d. XII kal. Ian., ore obligato obsignatoque simulacrum habet,


«non mi sembra fuori luogo inserire a questo punto l’esempio di un antico rito religioso istituito proprio per esortare a tale silenzio: la dea Angerona infatti, la cui festa ricorre il 21 dicembre, ha una statua con la bocca chiusa e sigillata

O forse la dea simboleggia la difficoltà del passaggio del solstizio d’inverno, quando il sole, la coscienza, sembra sparire nelle tenebre, in senso iniziatico, il solstizio d’inverno equivale alla Piccola Morte, Morte iniziatica, quando il neofita perdeva le difese della mente esterna morendo al mondo, e prova un senso molto forte di angoscia e di smarrimento.

Naturam furca expellas tamen usque recurret

naturam expelles furca potrai scacciare la natura con la forca tamen usque recurret  tuttavia sempre tornerà

Orazio (Epist. I, 10, 24)

“Per lungo tempo credetti, stoltamente,
che ci fossero statue di Vesta,ma poi appresi che sotto la curva cupola non ci sono affatto statue.
Un fuoco sempre vivo si cela in quel tempio e Vesta non ha nessuna effige, come non ne ha neppure il fuoco.”

Ovidio, “Fasti” VI , 295

esse diu stultus Vestae simulacra putavi,
mox didici curvo nulla subesse tholo.
ignis inexstinctus templo celatur in illo:
effigiem nullam Vesta nec ignis habet

nec tu aliud Vestam quam vivam intellege flammam,
nataque de flamma corpora nulla vide

Concepisci Vesta come nient’altro che la fiamma vivente, e vedrai che nessun corpo nasce dalla fiamma.

Τὰ εἰς ἑαυτόν Συγγραφέας Μάρκος Αυρήλιος II stralci Marco Aurelio

[II,2,1] Qualunque cosa mai io sia, è carne, pneuma, l’egemonico. [II,2,2] Tralascia i libri, non ambasciartene più: non ti è stato dato. Invece, come qualcuno ormai morente, giudicati pure superiore alla
tua carne: è sangue coagulato, ossa, un reticolo di nervi, di vene, di arterie. [II,2,3] Osserva anche cos’è
il tuo pneuma: aria in movimento, non sempre la stessa ma ogni momento espirata e poi di nuovo inspirata. [II,2,4] E terzo viene il tuo egemonico. Qui pensaci: sei vecchio; non permettergli più di essere
servo; non permettergli più di essere mosso come una marionetta da impulsi antisociali; non permettergli più di essere malcontento del destino presente o di rifiutare quello futuro

Ὅ τί ποτε τοῦτό εἰμι, σαρκία ἐστὶ καὶ πνευμάτιον καὶ τὸ ἡγεμονικόν. τῶν μὲν σαρκίων καταφρόνησον˙ λύθρος καὶ ὀστάρια καὶ κροκύφαντος, ἐκ νεύρων, φλεβίων, ἀρτηριῶν πλεγμάτιον. θέασαι δὲ καὶ τὸ πνεῦμα ὁποῖόν τί ἐστιν˙ ἄνεμος, οὐδὲ ἀεὶ τὸ αὐτό, ἀλλὰ πάσης ὥρας ἐξεμούμενον καὶ πάλιν ῥοφούμενον. τρίτον οὖν ἐστι τὸ ἡγεμονικόν. ἄφες τὰ βιβλία˙ μηκέτι σπῶ˙ οὐ δέδοται. ἀλλ ὡς ἤδη ἀποθνῄσκων ὧδε ἐπινοήθητι˙ γέρων εἶ˙ μηκέτι τοῦτο ἐάσῃς δουλεῦσαι, μηκέτι καθ ὁρμὴν ἀκοινώνητον νευροσπαστηθῆναι, μηκέτι τὸ εἱμαρμένον ἢ παρὸν δυσχερᾶναι ἢ μέλλον ὑπιδέσθαι.

[II,4,1] Ricorda da quanto tempo rimandi questi conti e quanto spesso, pur prendendo proroghe dagli
immortali, non le utilizzi. [II,4,2] Bisogna ormai che tu ti accorga una buona volta di quale cosmo sei
parte; a quale governante del cosmo sottostai quale emanazione; e che vi è per te un limite circoscritto
di tempo il quale, se non te ne servirai per darti aria pulita, disparirà e non vi sarà più un daccapo.
10
[II,5,1] Ogni ora preoccupati seriamente, da Romano e da maschio, di effettuare ciò che hai per le mani
con precisa e non artefatta solennità, con affettuosità, libertà e giustezza; e di provvederti agio da qualunque altra rappresentazione. [II,5,2] E te lo provvederai se esegui ciascuna azione come se fosse
l’estrema della vita, essendoti allontanato da ogni avventatezza, da emotivo distoglimento dalla ragione
che opera la diairesi, da ipocrisia, malinteso egoismo e dispiacere per gli avvenimenti compartiti dalla
sorte. [II,5,3] Vedi quante poche sono le cose padroneggiando le quali si può vivere una vita serena e da
dio; giacché gli immortali non richiederanno nulla di più a chi custodisce questi giudizi.
[II,6,1] Oltraggia, oltraggia te stesso, o animo! Di renderti onore non avrai più occasione. Non è, infatti,
breve la vita concessa a ciascuno di noi? [II,6,2] E questa vita per te è ormai quasi conclusa; per te che
non hai avuto rispetto di te stesso ma hai posto negli animi di altri la tua buona sorte.
[II,7,1] Gli accidenti esteriori ti distraggono? Procurati agio di apprendere qualcosa di buono in più e
cessa di girovagare di qua e di là. [II,7,2] Ma bisogna anche stare in guardia dall’altra condotta: giacché
vaneggiano in pratica anche coloro i quali, stanchi della vita, non hanno uno scopo sul quale indirizzare
una volta per tutte ogni impulso e rappresentazione.
[II,8,1] Difficilmente si vede qualcuno infelice perchè non riesce a soppesare ciò che succede nell’animo
di un altro. È invece necessario che non conoscano felicità gli esseri che non hanno la comprensione
delle mosse del proprio animo.

[II,9,1]
Bisogna sempre ricordare questo: quale sia la natura del cosmo; quale sia la mia natura e in quale
relazione questa stia con quella; quale parte di quale cosmo essa sia; che nessuno può impedire di fare e
di dire sempre ciò che è conseguente con la natura della quale sei parte

Τούτων ἀεὶ μεμνῆσθαι, τίς ἡ τῶν ὅλων φύσις καὶ τίς ἡ ἐμὴ καὶ πῶς αὕτη πρὸς ἐκείνην ἔχουσα καὶ ὁποῖόν τι μέρος ὁποίου τοῦ ὅλου οὖσα καὶ ὅτι οὐδεὶς ὁ κωλύων τὰ ἀκόλουθα τῇ φύσει, ἧς μέρος εἶ, πράσσειν τε ἀεὶ καὶ λέγειν.

  1. Μέμνησο ἐκ πόσου ταῦτα ἀναβάλλῃ καὶ ὁποσάκις προθεσμίας λαβὼν παρὰ τῶν θεῶν οὐ χρᾷ αὐταῖς. δεῖ δὲ ἤδη ποτὲ αἰσθέσθαι τίνος κόσμου μέρος εἶ καὶ τίνος διοικοῦντος τὸν κόσμον ἀπόῤῥοια ὑπέστης καὶ ὅτι ὅρος ἐστί σοι περιγεγραμμένος τοῦ χρόνου, ᾧ ἐὰν εἰς τὸ ἀπαιθριάσαι μὴ χρήσῃ, οἰχήσεται καὶ οἰχήσῃ καὶ αὖθις οὐκ ἐξέσται.
  2. Πάσης ὥρας φρόντιζε στιβαρῶς ὡς Ῥωμαῖος καὶ ἄῤῥην τὸ ἐν χερσὶ μετὰ τῆς ἀκριβοῦς .. καὶ ἀπλάστου σεμνότητος καὶ φιλοστοργίας καὶ ἐλευθερίας καὶ δικαιότητος πράσσειν καὶ σχολὴν ἑαυτῷ ἀπὸ πασῶν τῶν ἄλλων φαντασιῶν πορίζειν. ποριεῖς δέ, ἂν ὡς ἐσχάτην τοῦ βίου ἑκάστην πρᾶξιν ἐνεργῇς, ἀπηλλαγμένος πάσης εἰκαιότητος καὶ ἐμπαθοῦς ἀποστροφῆς ἀπὸ τοῦ αἱροῦντος λόγου καὶ ὑποκρίσεως καὶ φιλαυτίας καὶ δυσαρεστήσεως πρὸς τὰ συμμεμοιραμένα. ὁρᾷς πῶς ὀλίγα ἐστίν, ὧν κρατήσας τις δύναται εὔρουν καὶ θεουδῆ βιῶσαι βίον˙ καὶ γὰρ οἱ θεοὶ πλέον οὐδὲν ἀπαιτήσουσι παρὰ τοῦ ταῦτα φυλάσσοντος.
  3. Ὑβρίζεις, ὑβρίζεις ἑαυτήν, ὦ ψυχή˙ τοῦ δὲ τιμῆσαι σεαυτὴν οὐκέτι καιρὸν ἕξεις˙ ἀκαριαῖος ὁ βίος ἑκάστῳ, οὗτος δέ σοι σχεδὸν διήνυσται, μὴ αἰδουμένῃ σεαυτήν, ἀλλ ἐν ταῖς ἄλλων ψυχαῖς τιθεμένῃ τὴν σὴν εὐμοιρίαν.
  4. Περισπᾷ τί σε τὰ ἔξωθεν ἐμπίπτοντα; καὶ σχολὴν πάρεχε σεαυτῷ τοῦ προσμανθάνειν ἀγαθόν τι καὶ παῦσαι ῥεμβόμενος. ἤδη δὲ καὶ τὴν ἑτέραν περιφορὰν φυλακτέον˙ ληροῦσι γὰρ καὶ διὰ πράξεων οἱ κεκμηκότες τῷ βίῳ καὶ μὴ ἔχοντες σκοπόν, ἐφ ὃν πᾶσαν ὁρμὴν καὶ καθάπαξ φαντασίαν ἀπευθύνουσιν.
  5. Παρὰ μὲν τὸ μὴ ἐφιστάνειν, τί ἐν τῇ ἄλλου ψυχῇ γίνεται, οὐ ῥᾳδίως τις ὤφθη κακοδαιμονῶν˙ τοὺς δὲ τοῖς τῆς ἰδίας ψυχῆς κινήμασι μὴ παρακολουθοῦντας ἀνάγκη κακοδαιμονεῖν.
  6. Τούτων ἀεὶ μεμνῆσθαι, τίς ἡ τῶν ὅλων φύσις καὶ τίς ἡ ἐμὴ καὶ πῶς αὕτη πρὸς ἐκείνην ἔχουσα καὶ ὁποῖόν τι μέρος ὁποίου τοῦ ὅλου οὖσα καὶ ὅτι οὐδεὶς ὁ κωλύων τὰ ἀκόλουθα τῇ φύσει, ἧς μέρος εἶ, πράσσειν τε ἀεὶ καὶ λέγειν.
  7. Περισπᾷ τί σε τὰ ἔξωθεν ἐμπίπτοντα; καὶ σχολὴν πάρεχε σεαυτῷ τοῦ προσμανθάνειν ἀγαθόν τι καὶ παῦσαι ῥεμβόμενος. ἤδη δὲ καὶ τὴν ἑτέραν περιφορὰν φυλακτέον˙ ληροῦσι γὰρ καὶ διὰ πράξεων οἱ κεκμηκότες τῷ βίῳ καὶ μὴ ἔχοντες σκοπόν, ἐφ ὃν πᾶσαν ὁρμὴν καὶ καθάπαξ φαντασίαν ἀπευθύνουσιν.
  8. Παρὰ μὲν τὸ μὴ ἐφιστάνειν, τί ἐν τῇ ἄλλου ψυχῇ γίνεται, οὐ ῥᾳδίως τις ὤφθη κακοδαιμονῶν˙ τοὺς δὲ τοῖς τῆς ἰδίας ψυχῆς κινήμασι μὴ παρακολουθοῦντας ἀνάγκη κακοδαιμονεῖν.

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