αποτρόπαιος apotropaico ἀποτρᾰγεῖν…

αποτρέπειν, apotrépein  allontanare atto, animale, oggetto, formula monile apotropaico, rito apotropaico o gesto apotropaico, per allontanare  o annullare un’influenza maligna o negativa.

Nell’antichità si consideravano  formule magiche orientali scritte su tavolette o su oggetti già per sé stessi, pietre rare, rappresentazioni figurate di animali o parti di essi, di mostri, di maschere gorgoniche, di membra umane fra cui specialmente l’occhio, la mano, il fallo.
Spesso gli oggetti apotropici si trovano nelle tombe a difesa del morto.

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Le maschere apotropaiche, utilizzate e conosciute ad ogni latitudine,  retaggio pagano sono presenti ovunque, da nord a sud, nelle antiche masserie di campagna, nei piccoli borghi, come nelle piazze, nelle fontane e nei palazzi più o meno centrali delle grandi città.
Poste sull’architrave delle porte o a ridosso di finestre e balconi queste figure, ricche di significati simbolici, testimonianze antichissime di scalpellini e mastri muratori, ricche di simboli anche esoterici ed iniziatici.
Per riuscire ad allontanare la malasorte le maschere dovevano essere mostruose, in grado di spaventare gli spiriti maligni e tenerli distanti dall’abitazione.


Le forze ostili trovavano così una barriera, e la casa si fondava come spazio protetto, la cui soglia è interdetta. Qualora una di queste forze negative (streghe, spiriti errabondi) riusciva ad oltrepassare la soglia, incontrava, dunque, “ostacoli” apotropaici quali fili di scope, nodi intrecciati, coltelli con la lama rivolta in giù, rametti di palma e di ulivo benedetti. A questo punto, le streghe, dovevano contare minuziosamente i fili della scopa o sciogliere nodi, impiegando così tutta la notte, tempo a loro disposizione per la possibile esplicazione dell’influsso malefico; mentre lo spirito veniva “tagliato” dal coltello, riconfermando la sua importanza nella strumentazione magico-folklorica.
Tutti questi riti sono legati a simbolismi comportamentali legati alla “soglia”: difatti si tramanda che l’ingresso fosse sede di numerose presenze spirituali, controllato da potenti “Guardiani”, custodi dei passaggi tra i Mondi a cui è possibile accedere solo dopo aver superato particolari prove iniziatiche.

Nell’antica religione romana il termine fascinum (o fascinus) poteva riferirsi a differenti cose: al Dio Priapo (nominato anche Fascinus da Plinio il Vecchio),alle effigi ed agli amuleti fallici contro il malocchio ed infine agli incantesimi per stregare qualcuno o qualcosa.
Plinio il Vecchio afferma che il fascinus, inteso come l’amuleto, funge da medicus invidiae, ossia un rimedio per l’invidia ed il malocchio.
La parola italiana “affascinare” deriva dal latino fascinare, derivato da fascinus e complementare al lemma italiano “fascino”.
Il significato originario “malia, influenza malefica che si ritiene possa emanare dallo sguardo degli invidiosi, degli adulatori” è condiviso anche dal termine latino, ma “fascino” ha successivamente originato una connotazione metaforica che indica “potenza di attrazione e di seduzione”

 

 

 

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