ψυχή psiche e mito della biga alta di Platone

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« Socrate diceva che il compito dell’uomo è la cura dell’anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l’anima venga interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronunciava sull’immortalità dell’anima, perché non aveva ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante più di duemila anni, ancora oggi si pensa che l’essenza dell’uomo sia la psyche. Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell’anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l’apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyche è una grandiosa creazione dei greci.
L’Occidente viene da qui. »
(G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e pensiero, Milano 1975)

23795098_192227541343821_6455855425916307729_nIl mito del carro e dell’auriga (o della biga alata), tratto dal Fedro di Platone, introduce alla teoria platonica della reminiscenza dell’anima, un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente.
Racconta di una biga su cui si trova un auriga, personificazione della parte razionale o intellettiva dell’anima (logistikòn).
La biga è trainata da una coppia di cavalli, uno bianco e uno nero: quello bianco raffigura la parte dell’anima dotata di sentimenti di carattere spirituale (thymeidès), e si dirige verso l’Iperuranio; quello nero raffigura la parte dell’anima concupiscibile (epithymetikòn) e si dirige verso il mondo sensibile.I due cavalli sono tenuti per le briglie dall’auriga che, come detto, rappresenta la ragione: questa non si muove in modo autonomo ma ha solo il compito di guidare.

ἐοικέτω δὴ συμφύτῳ δυνάμει ὑποπτέρου ζεύγους τε καὶ ἡνιόχου. θεῶν μὲν οὖν ἵπποι τε καὶ ἡνίοχοι πάντες αὐτοί τε ἀγαθοὶ καὶ ἐξ ἀγαθῶν, τὸ δὲ τῶν ἄλλων μέμεικται. καὶ πρῶτον μὲν ἡμῶν ὁ ἄρχων συνωρίδος ἡνιοχεῖ, εἶτα τῶν ἵππων ὁ μὲν αὐτῷ καλός τε καὶ ἀγαθὸς καὶ ἐκ τοιούτων, ὁ δ’ ἐξ ἐναντίων τε καὶ ἐναντίος· χαλεπὴ δὴ καὶ δύσκολος ἐξ ἀνάγκης ἡ περὶ ἡμᾶς ἡνιόχησις. πῇ δὴ οὖν θνητόν τε καὶ ἀθάνατον ζῷον ἐκλήθη πειρατέον εἰπεῖν. 

Fedro 246 A.6 Segg.

« Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.

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