εὐδαιμονία (eudaimonìa), bene (εὖ èu) con spirito guida- sorte (δαίμων dàimōn), "essere divino", "genio", o coscienza", eudemonia essere in compagnia di un buono spirito, il proprio destino...
La pratica non potrà, mai, essere solamente un addestramento finalizzato ad un pragmatico fine, resta sempre una tensione, un ponte verso l'Assoluto , anche se inconsapevolmente , è l'espressione del desiderio di infrangere le barriere, il limite metafisico per gettarsi nel Oltre....
E' il brivido dell'ignoto nel mantra della ripetizione costante
Pro imago gratus sum Federica Maya
Una ricerca dell’Oltre che, per paradosso ,deve tenere presente il concetto/archetipo classico di Misura “Est modus in rebus: sunt certi denique fines, quos ultra citaque nequit consistere rectum”. C’è una misura nelle cose; vi sono precisi confini, oltre i quali non può sussistere il corretto (equilibrio). Orazio
κατά μέτρονsecondo giusta misura la felicità/realizazione/individuazzione (eudaimonìa) “buona” (eu) realizzazione, secondo misura (katà mètron), del proprio dàimon, della propria “passione” o “vocazione” più profonda.
Meden Agan greco μηδεν ἄγαν, "niente di troppo", il cui equivalente latino è ne quid nimis ,scolpito, secondo la tradizione, nel tempio di Apollo in Delfi e attribuito al dio stesso o a vari sapienti dell’antichità
Agire ma non essere posseduti dall'azione , agire ma non essere posseduti dal fine....
Δελφική Ιδέα John William Godward, L’oracolo di Delfi, olio su tela, 1899
Ogni anima (è) immortale. Infatti, ciò che si muove sempre (è) immortale; ciò che invece muove altro ed è mosso da altro, quando ha la cessazione del movimento, ha la cessazione della vita.
Platone Fedro 245c 245a
Tutte le anime che non sono state iniziate provando un grande tormento si allontanano dalla visione dell’Essere e, essendosi del tutto distaccate dalla Verità si nutrono con il cibo dell’opinione. Ma a causa di ciò esse provano una grande e tormentosa difficoltà a vedere la pianura della verità e scoprire dov’è: il pascolo che si addice alla parte migliore dell’anima si trae appunto dalla prateria di lassù, e di questa si nutre la natura delle penne e delle piume da cui l’anima, resa leggera, viene sollevata”
Platone, Fedro, 244 e – 245
ΤΑ ΟΡΦΙΚΑ ΜΥΣΤΗΡΙΑ ΕΙΝΑΙ Η ΨΥΧΗ ΤΗΣ ΕΛΛΑΔΟΣ
‘Misteri’ designa diverse ‘forme’ di culto proprie dell’antichità greca i cui ‘rituali’, le cui ‘dottrine’, le cui ‘esperienze’ erano rigorosamente tenuti segreti, riservate agli iniziati, i quali avevano l’obbligo di non profanare il segreto, che doveva rimanere ineffabile, l’obbligo del silenzio esuchìa ησυχία, definiva anche i significati di ‘calma’, ‘tranquillità’, ‘quiete’, ‘pace’, ‘riposo’ e si associava il concetto che l’esperienza misterica tale da non poter essere ‘rivelata’ o ‘descritta’ neanche volendolo fare.
Oreste a Delfi, la Pizia, il treppiede. Cratere con figure rosse, circa 330 a.C. AD
Mysterion μυστήριον, nella consuetudine greca, generalmente usato al plurale tà mystèria (τά μυστήρια), derivare dal verbo myo μύω che significa ‘chiudere gli occhi e le labbra’ ma anche, per traslato, ‘essere calmo’, ‘rimanere silenzioso’, molti sono i riferimenti in variegate culture all’importanza dell’acuire i sensi tramite l’ascolto silenzioso.
Vi è una probabile connessione con arcaica radice indoeuropea ‘mu’ che indicava il dito posto sulle labbra per intimare il silenzio, radice che è anche alla base dei verbi latini musso e muttio, che vogliono dire appunto ‘tacere’, ‘balbettare’ e dell’aggettivo, usato anche come sostantivo, mutus.
Conferenza sul Mito e il simbolismo di Sparta Spartani Σπαρτιάται aristocrazia austera
Un aggregato umano misterioso, austero, silenzioso ”laconico ”, schivo ,duro, dedito all’addestramento permanente , al culto della parola data, che per mantenere il suo status s’impone regole severe di rinuncia e restrizione, il privilegio degli Ὅμοιοι, gli Uguali Σπαρτιάται, Spartiati è essere fedeli e dediti ad un ideale metafisico autoreferenziale.
“Il mito non è il contrario della realtà, è prima di tutto un racconto la cui funzione è
rivelare in che modo qualcosa è avvenuto all’essere. Io studio i miti antichi, le storie vecchie, ma racconto storie nuove nelle quali sono rintracciabili gli archetipi e le collego al mondo dei sogni, alla psicologia del profondo. All’uomo moderno piacciono i miti non perché sono esotici, ma perché, credo, possono fornire un punto di partenza verso una nuova visione del mondo che sostituisce le immagini e i valori oggi scaduti. E ama, l’uomo moderno, sentir raccontare delle storie e raccontarne, perché è un modo per reinserirsi in un mondo articolato e significante”.
不動如山,難知如陰,動如雷震 “Immobile come una montagna, imperscrutabile come l’oscurità, rapido come fulmine e tuono”
Sunzi, Arte della guerra, cap. 7, par. 40.
IL NOSTRO INTENTO
Suscitare Potenzialità
Risvegliare il Profondo
Addestrarsi al combattimento
Facilitare processi catartici
Stimolare il recupero del equilibrio psicofisico
Immergersi nel profondo rilassamento potenziando il proprio livello di motivazione.
La danza pirrica ebbe il più grande sviluppo a Sparta, Σπάρτη Λακεδαίμων Probabilmente derivata dai riti organizzati per celebrare le vittorie di guerra e veniva eseguita da giovani, sia come danza individuale sia in gruppo, con armi e armature e con movenze che simulavano le posizioni di attacco e di difesa, accompagnate dalla musica del flauto.
Questa danza era finalizzata ad esercitare i combattenti aumentandone l’agilità prima della battaglia in cui dovevano confrontarsi con il nemico.
Il capo dei guerrieri era infatti anche il capo dei danzatori.
In seguito, la danza divenne una pantomima di imitazione del combattimento, più vicina a una forma di spettacolo. Platone, nelle Leggi, descrive questa danza come una mimica guerriera che rappresenta i differenti momenti del combattimento; iniziava con alcune parate eseguite sia tornando indietro lateralmente, sia indietreggiando, sia saltando, sia abbassandosi. Era eseguita sia da danzatori singoli, sia da due danzatori che si fronteggiavano l’uno all’altro, sia in gruppo numeroso. In questa forma si trattava di una danza schermata, o meglio, di una scherma organizzata che introduceva una nota di virile bellezza nelle feste spartane dei Dioscurie in altre feste come le Gimnopedie e le Grandi e Piccole Panatenaiche.
Secondo Louis Séchan, il termine deriverebbe dal nome dall’aggettivo πυρρός, rosso, la pirrica sarebbe allora la “danza rossa”, il colore vermiglio del sangue.
Πυρρίχιος χορός. Τελετή λήξης Πανελλήνιας Άσκησης Εφέδρων «ΜΑΚΕΔΟΝΟΜΑΧΟΣ» Στην Λύρα ο Κώστας Τυρεκίδης, και στο νταούλι ο Νίκος Καλογερίδης. Ο Πυρρίχιος είναι ο αρχαιότερος Eλληνικός πολεμικός χορός. Οι χορευτές χορεύαν κρατώντας ασπίδα και δόρυ και φορώντας περικεφαλαία. Για την δημιουργία του υπάρχουν τρεις μυθικές εκδοχές: 1) Κατά τη διάρκεια της βασιλείας του Κρόνου, πριν τις Τιτανομαχίες και ενώ ο Ζευς ήταν ακόμα βρέφος, οι Κουρήτες χόρευαν τον πυρρίχιο γύρω του κάνοντας δυνατό θόρυβο με τα όπλα και τις ασπίδες τους για να μην ακούσει ο παιδοκτόνος Κρόνος το κλάμα του. 2) Στην πολιορκία της Τροίας, ο Αχιλλέας, πριν κάψει το νεκρό Πάτροκλο, χόρεψε τον Πυρρίχιο πάνω στην πλατφόρμα των καυσόξυλων πριν παραδώσει τον Πάτροκλο στη νεκρική πυρά (πυρά – Πυρρίχιος). 3) Ο Πύρρος (γιος του Αχιλλέα) κάτω από τα τείχη της Τροίας, χόρεψε σε αυτό τον ρυθμό, από τη χαρά του για το θάνατο του Ευρύπυλου (Πύρρος – Πυρρίχιος). Όποια και αν ήταν η μυθική «καταγωγή» του Πυρρίχιου, το σίγουρο είναι ότι τον χόρευαν από τον Εύξεινο Πόντο μέχρι την Κύπρο και την Κρήτη, ενώ οι Σπαρτιάτες τον θεωρούσαν ένα είδος πολεμικής προπόνησης και τον μάθαιναν από μικρά παιδιά. Για τον Πυρρίχιο βρίσκουμε αναφορές στον Όμηρο και τον Ξενοφώντα. Στις μέρες μας, τον σύγχρονο πυρρίχιο έχουν κληρονομιά οι Πόντιοι, σε μία μορφή που ίσως πλησιάζει την πύρριχη χωρίς οπλισμό, με άνδρες (οι γυναίκες απαγορευόταν να χορέψουν
Entuṡiasmo ἐνϑουσιασμός, ἐνϑουσιάζω «essere ispirato», da ἔνϑεος, di ἐν «in» e ϑεός «divino»
Presso i Greci, la condizione di chi era invaso da una forza o furore divino (ἔνϑεος), cioè della pitonessa, dell’indovino, del sacerdote, nonché del poeta, del guerriero che si pensava ispirato da qualcosa di non manifesto .
Un sentimento intenso di gioia, di ammirazione, di desiderio per qualche cosa o per qualcuno, oppure totale dedizione a una causa, a un ideale.
Uno stato d’animo d’eccezione da ricercare e di cui nutrirsi con cura.
Metopa raffigurante Helios che esce dal mare. Rinvenuta all’angolo Nord-Est del tempio di Atena a Troia da Heinrich Schliemann nel 1872, e risalente al IV secolo a.C., è oggi conservata presso il Pergamonmuseum di Berlino. La raffigurazione di Helios che esce dal mare può riprendere quanto riportato in Ateneo (469c e sgg.) dove viene raccontato il modo in cui Helios, dopo aver attraversato il cielo da oriente verso occidente, torni col suo cocchio al suo punto di origine: entro un’enorme coppa attraversa l’oceano.
Licurgo Λυκοῦργος , mitico fondatore di Sparta, aveva proibito agli Σπαρτιάται, Spartiátai qualsiasi attività economica (per un lungo periodo ti tempo fu così)
Essi non potevano commerciare, ne eseguire lavori artigianali, non potevano guadagnare denaro ad alcun titolo,unico redditto consentito era quello derivante dai lotti di terra assegnati dallo stato agli spartiati ,appunto perchè ne traessero di che vivere dignitosamente, ma niente di più.( i lotti di terra erano lavorati dagli iloti, Εἱλῶται o Εἱλῶτες, popolo della Messenia, mezzadri in stato di sottomissione.)
Le monete d’oro e d’argento erano proibite in Laconia, circolava solo una valuta locale , di ferro, che delle monete non aveva nemmeno la forma.Si trattava di spiedini, ciascuno dei quali veniva bagnato nell’aceto dopo la fusione per renderne impossibile il recupero anche di quel piccolissimo valore reale situato nel metallo, importare monete doro o d’argento era considerato reato.
Fonte Brodo Nero Sergio Valzania pag.139
Il brodo nero (μέλας ζωμός) era il piatto tradizionale spartano,una zuppa nera di uno spezzatino di maiale, reso scuro dall’aggiunta di sanguinaccio e vino, considerato simbolo della frugalità degli spartani. Presso gli altri greci era mal considerato per la proverbiale sgradevolezza del sapore, il brodo nero costitutiva la componente fondamentale consumata nei sissizi, τὰ συσσίτιαi, pasti comuni, riservati agli spartiati, ma occasionalmente potevano esservi ammessi anche motaci ossia figli di spartiati la cui madre era di condizione ilotica, o agli stranieri, meteci (μέτοικοι, metoeci) Motaci o motoni; gr. μόϑωνες era una classe sociale composta dai figli di padre spartiate e madre ilota, erano allevati assieme ai discendenti legittimi degli Spartiati e talora ottenevano il diritto di cittadinanza e importanti uffici militari o politici. I Neodamodi , νεωδαμώδεις o νεοδαμάδεις sostanzialmente erano gli Iloti liberati che, pur ottenendo i diritti civili non godevano però di diritti politici. Potevano essere inquadrati nell’esercito, in truppe secondarie o di riserva: per esempio lo stesso Senofonte riporta che Tibrone, nel 400 a.C., utilizzò un esercito comprendente mille neodamodi.
τὰ συσσίτιαi, sissizi, pasti comuni,istituzione, che creava un elemento fondamentale dello stato spartano, aveva una funzione di rafforzare il senso di appartenenza alla comunità, ponendo in contatto quotidiano i giovani spartiati con anziani più esperti.
Tutti i cittadini erano divisi in comunità formate in genere da 15 membri, che giornalmente si riunivano per consumare il pasto.
Le spese erano ripartite in parti uguali tra i partecipanti, che corrispondevano mensilmente la propria quota in natura. Chi non era in grado di farlo veniva retrocesso nella categoria degli hypomeiones , οἱ ὑπομείονες, ‘quelli minori’,perdendo i diritti politici. Dal V secolo a.C. anche i re furono obbligati a partecipare ai sissizi.
Tra hypomeiones , οἱ ὑπομείονες, confluivano anche i cadetti essendo il kleros, κληρος “ciò che tocca a sorte”, destinato al primogenito; questa fu una delle cause della progressiva decadenza demografica degli spartiati e della diminuzione degli opliti.
Il klêros κληρος lotto di terreno assegnato da Sparta e da altre città doriche a ogni cittadino, inalienabile e individuale veniva trasmesso al primogenito, i figli cadetti, cioè i nati dopo il primogenito, non avendo il klêros, godevano di minori diritti civili, in assenza di eredi il klêros tornava alla città-Stato.
Φόβος Phobos, paura, era una ierofania, ἱερὸςφάνεια, che riceveva onori e rispetto a Sparta Σπάρτη. Figlio di Ares, dio della guerra, e di Afrodite, dea della bellezza, era la ierofania della paura e fratello di Deimos, il terrore causato dalla guerra.
Σπαρτιάται, Spartiátai fondavano la propria metafisica sull’addestramento marziale e sulla preparazione alla guerra, il segreto del loro successo risiedeva nel terrore folle che incutevano nei nemici nel vederli così calmi, determinati e sicuri, affrontare con serenità schiere numericamente molto più affollate.
Dominare la paura per atterrire gli avversari, terrorizzare con l’ imperturbabilità le emotive schiere nemiche un arte raffinata e una profonda conoscenza psicologica trasmessa di generazione in generazione.
La agoghé (ἀγωγή) era un rigoroso regime di educazione e allenamento basato su disciplina e obbedienza cui era sottoposto ogni cittadino spartano, il duro addestramento militare spartano, che durava tutta la vita, il servizio militare terminava introno ai 60 anni , mirava a fortificare il corpo e lo spirito dei soldati, che si sapevano nati per la guerra e che nella morte in battaglia vedevano l’occasione ambita per coronare di gloria sé e la propria famiglia.
Phobos e Ares
Si dice che tempio maggiore di Φόβος si trovasse a Sparta e gli Spartani pregavano nel tempio prima di scendere in battaglia. Plutarco riferisce, nella Vita di Alessandro, che anche Alessandro Magno, alla vigilia della battaglia di Gaugamela Γαυγάμηλα contro il re persiano Dario, fece sacrifici a questo dio.
Addestramento per controllare la paura con tecniche di fine psicologia, se è la mente a provare agitazione, è i il corpo a manifestarla: fin da bambini, quindi, venivano abituati a controllare quei movimenti involontari (contrazioni delle palpebre, tremolii degli arti, deflusso circolatorio) che sono spia e fomento al terrore.
Era uno spettacolo grandioso e insieme terrificante vederli avanzare al passo cadenzato dai flauti senza aprire la minima frattura nello schieramento o provare turbamento nel animo, calmi ed allegri, guidati al pericolo dalla musica. Perché non si può pensare che paura o furore smodato s’impossessassero di uomini così composti; ma certo un fermo proposito, sorretto da fiducia e coraggio, come se Dio li accompagnasse. […] Vinto e sbaragliato il nemico, l’inseguivano quel tanto che bastasse a consolidare con la sua fuga la vittoria, quindi rientravano immediatamente nell’accampamento, perché pensavano fosse un’azione ignobile e indegna degli Elleni tagliare a pezzi e trucidare chi rinunziava alla vittoria e aveva abbandonato la lotta. Il loro metodo era non solo onorevole e magnanimo, ma anche vantaggioso: gli avversari, quando sapevano che gli Spartani uccidevano chi opponeva loro resistenza e risparmiavano chi cedeva, stimavano più conveniente fuggire che resistere. Trad. C. Carena, in Vite parallele, Einaudi, Torino 1958.
Nell’antica Grecia ὕβρις insolenza, tracotanza eccesso”, “superbia”, “orgoglio” è anche personificazione della prevaricazione È un antefatto che vale come causa a priori che condurrà alla catastrofe καταστροϕή, «rivolgimento, rovesciamento», della tragedia e delle vicende umane.Per il pensiero greco, è ogni situazione in cui si assiste ad un oltrepassamento del giusto, una prevaricazione della legge dell’armonia.
Se il pensiero greco, soprattutto presocratico, è la riflessione sul carattere armonico della realtà necessario a mantenere in equilibrio l’intero universo, l’hybris rappresenta allora quella prevaricazione degli elementi che conduce ad uno strappo nel tessuto armonico della realtà.
La ὕβρις è una colpa compiuta da chi offende con prepotenza e tracotanza, è punita dalla “némesis” ( νέμεσις), che significa “vendetta degli dei”, “ira”, “sdegno”.
Fregio nord dell’architrave del Tesoro dei Sifni a Delfi.Archaeological Museum of Delphi,
Gli spartani sono stati efficacemente educati ai ragionamenti filosofici da questo: se qualcuno si trova infatti a conversare con il più stolto degli spartani, troverà che per la maggior parte della conversazione l’uomo appare davvero stolto. Tuttavia, poi, quando gli si presenta un’occasione nel discorso, questa stessa persona è capace di scagliare una frase degna di nota, breve e significativa, come un abile arciere, cosicché il suo interlocutore appare niente più che un bambino. Questo dunque hanno compreso sia i contemporanei sia gli antichi, cioè che imitare gli spartani significa amare la filosofia molto più della ginnastica, consapevoli che pronunciare frasi brevi e significative è proprio di uomini che sono stati educati alla perfezione.
Tra questi c’erano Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Briene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene, e il settimo tra loro si narra che fosse Chilone di Sparta.
Tutti questi erano ammiratori, amanti e seguaci dell’educazione spartana: chiunque, dai detti brevi e memorabili che ciascuno di loro pronunciò, potrebbe comprendere che la loro sapienza era di origini spartane. Costoro, riunitisi insieme, consacrarono come primizia della loro sapienza ad Apollo nel tempio di Delfi queste iscrizioni che tutti celebrano, «Conosci te stesso» e «Nulla di troppo». Per quale motivo dico queste cose? Perché questo era lo stile della filosofia degli antichi: una brevità spartana.