
Giunti sulla vetta, oltre la quale non si può proseguire, appare Indra, sovrano degli dèi, che si congratulava con il re e gli prometteva i mondi celesti, ponendo però una condizione.
Dovrà abbandonare il cane randagio che lo segue, animale impuro che non può compiere un’ascesa divina ritenuta quasi impossibile anche per gli uomini più saggi e devoti.
Udita la proposta, Yudhiṣṭhira, incarnazione della giustizia, non ha dubbi: il re si rifiutava fermamente di abbandonare il suo compagno, ed è pronto a rinunciare ad un eternità nei cieli piuttosto che tradire una creatura che aveva riposto in lui la sua fiducia.
Questo atto gli permise di compiere l’ultimo passo.

Indra, infatti, se avesse accettato di lasciare il compagno, anteponendo alla sua esistenza il proprio ego e il desiderio del cielo, non sarebbe stato degno di entrarvi.
Dopo la risposta del sovrano, il cane si trasforma nel padre divino del re, lo stesso Dharma, l’Ordine Cosmico, che si era incarnato nell’umile animale per testare il proprio figlio e accompagnarlo verso la sua futura dimora, mostrando al contempo la limitatezza di visioni dicotomiche sulla purezza degli esseri
confer Mahābhārata (XVII, 2, 26; XVII, 3, 2-21)
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